Un film all'insegna della dignità umana e dell'amicizia per ritrovare la speranza e il desiderio di vita. Con leggerezza e ironia gli autori sono stati in grado di andare al cuore di tematiche delicate come l’handicap fisico e il senso dell’assistenza.
«La compassione è solo un modo di prendere le distanze, di abbandonare qualcuno alla propria solitudine. Preferisco la consolazione, dal latino consolidare, mantere in piedi».
Philippe Pozzo di Borgo è un nobile francese di 61 anni, che dal 1993, a causa di un incidente col parapendio, è completamente paralizzato su una sedia a rotella insensibile a qualsiasi stimolo esterno dal collo alla punta dei piedi. Nel 1996, alla morte di sua moglie, si vede costretto ad assumere un badante a tempo pieno. Sarà un disoccupato algerino di nome Abdel, cresciuto nelle banlieu di Parigi ad ottenere l’incarico, stravolgendo la vita del ricco tetraplegico.
Questa non è la trama del film, ma la realtà: una storia bella e intensa che testimonia un amore appassionato per la vita raccontata nel libro “Il mio diavolo custode”. I registi e sceneggiatori Olivier Nacache ed Eric Toledano sono riusciti a realizzare un film che commuove e diverte allo stesso tempo senza banalizzare o stravolgere le vicende.
A tenere gli intrecci di questo riuscitissimo lungometraggio sta il lavoro fine e ricercato degli sceneggiatori: i dialoghi arrivano al punto, pur rimanendo fedeli ai personaggi; il testo è ricco di richiami interni che danno coesione alla storia e creano allo stesso tempo aspettativa e sorpresa. E soprattutto, vero punto di forza di questo film, non si fossilizza mai su stereotipi di genere, non è mai troppo tragico, ma sa trovare in ogni momento l’occasione per sorridere. Con leggerezza e ironia gli autori sono stati in grado di andare al cuore di tematiche delicate come l’handicap fisico e il senso dell’assistenza: chi sono i veri malati oggi? Siamo davvero sicuri che essere soli significhi essere indipendenti?
Servendosi di un’ottima fotografia e della colonna sonora curata da Ludovico Einaudi, la coppia Toledano e Nacache mette al confronto il mondo aristocratico e snob di Philippe, interpretato da François Cluzet, un Dustin Hoffman in salsa gallica, con quello di Driss, un sorprendente Omar Sy, che vive nelle periferie francesi conducendo un’esistenza ai margini. Dal loro incontro nasce un nuovo modo di guardare la vita che si prende un po’ gioco della nostra società, scherzando sulle nostre regole, i nostri tabù e il senso dell’arte. A far da sfondo e approfondire la loro relazione stanno personaggi che da soli meriterebbero un film a sé stante, come Yvonne (Anne Le Ny), la fedele spalla di Philippe, o Magalie (Audrey Fleurot), l’indecifrabile segretaria lentigginosa.
“Dall’incontro tra due disperati – dice Pozzo di Borgo – io con un handicap fisico, lui sociale” nasce un’amicizia straordinaria che aiuterà i protagonisti, e forse anche lo spettatore, a superare i pregiudizi e ritrovare la speranza e la fonte del nostro inesauribile desiderio di vita.
Philippe Pozzo di Borgo è un nobile francese di 61 anni, che dal 1993, a causa di un incidente col parapendio, è completamente paralizzato su una sedia a rotella insensibile a qualsiasi stimolo esterno dal collo alla punta dei piedi. Nel 1996, alla morte di sua moglie, si vede costretto ad assumere un badante a tempo pieno. Sarà un disoccupato algerino di nome Abdel, cresciuto nelle banlieu di Parigi ad ottenere l’incarico, stravolgendo la vita del ricco tetraplegico.
Questa non è la trama del film, ma la realtà: una storia bella e intensa che testimonia un amore appassionato per la vita raccontata nel libro “Il mio diavolo custode”. I registi e sceneggiatori Olivier Nacache ed Eric Toledano sono riusciti a realizzare un film che commuove e diverte allo stesso tempo senza banalizzare o stravolgere le vicende.
A tenere gli intrecci di questo riuscitissimo lungometraggio sta il lavoro fine e ricercato degli sceneggiatori: i dialoghi arrivano al punto, pur rimanendo fedeli ai personaggi; il testo è ricco di richiami interni che danno coesione alla storia e creano allo stesso tempo aspettativa e sorpresa. E soprattutto, vero punto di forza di questo film, non si fossilizza mai su stereotipi di genere, non è mai troppo tragico, ma sa trovare in ogni momento l’occasione per sorridere. Con leggerezza e ironia gli autori sono stati in grado di andare al cuore di tematiche delicate come l’handicap fisico e il senso dell’assistenza: chi sono i veri malati oggi? Siamo davvero sicuri che essere soli significhi essere indipendenti?
Servendosi di un’ottima fotografia e della colonna sonora curata da Ludovico Einaudi, la coppia Toledano e Nacache mette al confronto il mondo aristocratico e snob di Philippe, interpretato da François Cluzet, un Dustin Hoffman in salsa gallica, con quello di Driss, un sorprendente Omar Sy, che vive nelle periferie francesi conducendo un’esistenza ai margini. Dal loro incontro nasce un nuovo modo di guardare la vita che si prende un po’ gioco della nostra società, scherzando sulle nostre regole, i nostri tabù e il senso dell’arte. A far da sfondo e approfondire la loro relazione stanno personaggi che da soli meriterebbero un film a sé stante, come Yvonne (Anne Le Ny), la fedele spalla di Philippe, o Magalie (Audrey Fleurot), l’indecifrabile segretaria lentigginosa.
“Dall’incontro tra due disperati – dice Pozzo di Borgo – io con un handicap fisico, lui sociale” nasce un’amicizia straordinaria che aiuterà i protagonisti, e forse anche lo spettatore, a superare i pregiudizi e ritrovare la speranza e la fonte del nostro inesauribile desiderio di vita.
Fonte: cogitoetvolo http://cogitoetvolo.it/quasi-amici/