L'argomentazione "ipse dixit", che fece condannare Galileo, per cui è vero ciò che dice chi è degno di fiducia, è dura a morire perfino in ambito scientifico
The Lancet è una tra le cinque più importanti ed autorevoli riviste medico-scientifiche, un riferimento per i medici di tutto il mondo, una garanzia di autorevolezza per chi legge.
Ma un lettore che a Luglio abbia sfogliato la prestigiosa rivista o aperto la homepage online cercando degli aggiornamenti di carattere scientifico si è trovato davanti un editoriale dal titolo “Ireland’s abortion law: a start but not enough”.
Nell’articolo la prestigiosa rivista si schiera a favore della legalizzazione dell’aborto in Irlanda, criticandone però gli obblighi imposti dalla legge in merito alla certificazione del rischio per la vita della donna. L’editoriale passa poi in rassegna il più classico e consolidato repertorio abortista: i casi di violenza, di stupro, di gravidanza ectopica, l’obbligo di andare ad abortire all’estero, l’aborto clandestino, fino a concludere che “sebbene questa legge sia un passo in avanti nella giusta direzione, l’accesso all’aborto è ancora troppo restrittivo in Irlanda, e ciò mette a rischio la salute e la vita delle donne”.
Un repertorio ascoltato mille volte, probabilmente, ma che suona ancora più stonato se lo si legge su una prestigiosa rivista di medicina. Quella medicina che dimostra come il bambino concepito e non ancora nato sia “uno di noi”, quella stessa medicina che dimostra ad esempio come l’aborto rappresenta un fattore di rischio per la salute psichica della donna, quella medicina che è chiamata a prendersi cura simultaneamente di due pazienti: la madre e il figlio.
The Lancet non è certo nuovo a questo tipo di posizioni, eppure lascia ogni volta senza parola osservare come a volte l’autorevolezza si copra d’ideologia.
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