L’obiezione di coscienza: la decisione del Consiglio Costituzionale francese riguardo all’applicabilità dell’istituto alla legge 404/2013 sui matrimoni tra persone dello stesso sesso.
LA DECISIONE: Con una decisione del 18 Ottobre 2013 il Conseil Constitutionnel
–equivalente della nostra Corte Costiuzionale- ha dichiarato conforme alla Costituzione
francese la legge 404/2013, non valutando come incostituzionale l’assenza della
previsione di una “clause de conscience”
ovvero di una possibilità di obiezione di coscienza.
La questione di costituzionalità
era stata posta da un nutrito gruppo di sindaci, aderenti al movimento “manif pour tous” che rivendicavano la
violazione della propria libertà di coscienza data dall’imposizione di severe
sanzioni in capo ai pubblici ufficiali che si fossero rifiutati di applicare le
nuove disposizioni di legge.
La decisione del Conseil, si basa sull’assunto per cui
fin dal 1804 –anno di entrata in vigore del Codice Civile- lo Stato Francese ha
garantito la libertà matrimoniale ed il diritto al matrimonio nel luogo di
residenza, assicurando tale statuizione con forti sanzioni per i Pubblici
Ufficiali che non vi si fossero conformati.
LA LEGGE E LA SUA APPLICAZIONE: La legge “incriminata” è stata, dopo
la sua adozione, corredata da una circolare del Ministero degli Interni
(Ministere de l’Interieur, circulaire n° INTK-1300195C, 13 juin 2013) con la
quale si ricordava “il dovere dei
pubblici ufficiali di celebrare i matrimoni secondo le leggi della Repubblica
(ivi compresa l’ultima legge sui matrimoni tra persone dello stesso sesso)”
conformemente a quanto stabilito all’articolo 172 del Codice Civile [1]
rammentando che chiunque si fosse
comunque rifiutato sarebbe stato passibile delle severe sanzioni amministrative
previste dal Codice delle Collettività Territoriali; ovvero una pena detentiva
fino a 5 anni ed un’ammenda fino a 75.000€!
Al lettore italiano, questa
decisione può apparire strana, se non ingiusta, ove non contestualizzata nel
particolare contesto normativo e politico dei “cugini d’oltralpe”.
LAICITA’: Innanzitutto occorre tener presente la diversa natura
costituzionale della Francia ove vige fin dal 1905 in rigido principio di laicità, la cui
applicazione non conosce i temperamenti ai quali siamo abituati in Italia. Lo
Stato francese è profondamente permeato dal principio di laicità e di
neutralità e non riconosce e fa proprio, come invece l’ordinamento italiano fa,
il valore positivo e l’apporto fattivo del sentimento religioso. Al contrario,
il sentimento religioso è, nel sistema francese, qualcosa da tener strettamente
legato alla vita privata, tanto che ogni sua manifestazione verbale e materiale
è oramai interdetta negli spazi pubblici non solo ai pubblici dipendenti ma
agli stessi utenti. Valga a titolo d’esempio la legislazione comunemente
conosciuta come “legge sul velo” che
ha avuto per conseguenza, non solo l’eliminazione del velo islamico per le
allieve delle scuole pubbliche, ma anche la proibizione di qualsiasi altro
simbolo religioso di altre fedi, con conseguenti condanne dei giudici di
scolari per aver indossato a scuola catenine con croci o turbanti sikh.
LA LEGGE: UN VALORE “SACRO”. In secondo luogo, per comprendere i
motivi che hanno spinto il Consiglio Costituzionale, ad adottare una decisione
tanto tranchant, bisogna calarsi in
un approccio verso la legge totalmente diverso da quello adottato dai cittadini
ed anche dai funzionari italiani: se nel nostro Paese, spesso l’applicazione
della legge è trascurata o addirittura volontariamente ignorata, in Francia la legge, conformemente ai
principi della democrazia liberale, è ancora considerata con rispetto sacrale,
come espressione della volontà del Popolo Sovrano. Difatti anche il vocabolario
è completamente diverso: se in Italia una legge è “adottata” dal Parlamento in Francia la legge è “consacrée”. Pare evidente che di fronte
ad una legge “consacrata” il pubblico
ufficiale transalpino non si possa porre in contrasto non senza correre il
rischio di commettere un grave peccato!
LA LIBERTA’ DI COSCIENZA. Ci è sembrato giusto, per spiegare (ma
non giustificare) la dura decisione del Conseil Constitutionnel, abbozzare una
cornice nella quale poter inquadrare la questione, se non dal punto di vista
francese almeno con un occhio più attento alle differenze del sistema
d’oltralpe.
Esposti i motivi che hanno
portato ad una siffatta decisione, pare opportuno analizzare la situazione sotto il punto di
vista, a noi più vicino, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo
(C.E.D.U.), dato anche che il comitato promotore della Questione di
Costituzionalità si appresta a presentare ricorso alla Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo.
Sotto il profilo della conformità
alla Convenzione della legge in questione ove non prevede la possibilità
d’obiezione di coscienza, i ricorrenti solleveranno, con tutta probabilità,
accanto ad altri motivi relativi alla composizione ed alla natura del Consiglio
Costituzionale, il tema della contrarietà delle disposizioni all’art. 9 della
Convenzione. Tale articolo è dedicato alla protezione delle “Libertà
di pensiero, di coscienza e di religione”, ed i ricorrenti potranno basare
le loro argomentazioni su una nutrita giurisprudenza della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo che ha sanzionato, in relazione a temi quali la leva
obbligatoria e l’aborto, gli atteggiamenti degli Stati, volti ad ignorare la
libertà di coscienza dei cittadini su temi eticamente sensibili.
In merito alla questione specifica
dell’obiezione alla “celebrazione di matrimoni gay”, la Corte di Strasburgo si
è recentemente espressa, nel caso Eweida ed altri c/ Regno Unito (CEDU,
15 Gennaio 2013, n.48420/1010) ammettendo, da un lato, che “Lo Stato ha l’obbligo positivo, ai sensi
dell’articolo 9, di assicurare il rispetto della libertà di coscienza in relazione
a situazioni eticamente sensibili”, ma dall’altro, non arrivando ad
affermare la non conformità della legge britannica che non prevedeva la
possibilità d’obiezione di coscienza per il pubblico ufficiale che non
intendesse celebrare le c.d. “unioni civili”.
I giudici di Strasburgo,
potrebbero, difatti, trovare delle giustificazioni alla limitazione della
libertà di coscienza nel testo stesso dell’articolo 9 della Convenzione, ove
prevede che “la libertà di manifestare la
propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni
diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure
necessarie, in una società democratica, […..] alla protezione dei diritti e
della libertà altrui”. Infatti, secondo autorevoli fonti francesi,
l’obiezione, che è stata e che potrebbe essere, opposta al ricorso del comitato
potrebbe basarsi sul principio secondo cui l’obiezione di coscienza non può
limitare l’altrui diritto, sanzionato per legge, ad accedere ai servizi dello
stato civile, quali appunto il matrimonio.
LIBERTA’ DI COSCIENZA E RISPETTO DELLA LEGGE: L’EQUILIBRIO NECESSARIO.
In merito, è interessante ricordare
come, la Corte abbia, nella sua produzione giurisprudenziale in materia
d’obiezione d coscienza, sempre inteso trovare un contemperamento tra
l’esigenza del buon andamento dei servizi pubblici e la libertà di coscienza
dei cittadini ed abbia ripetutamente criticato le sanzioni eccessive che taluni
Stati applicavano agli obiettori, sia in merito alla leva obbligatoria che in
merito all’aborto. Inoltre, in merito
alla libertà di coscienza, principio fondante di ogni società democratica, si è
recentemente espressa l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa che ha
invitato gli Stati Membri a: "garantire,
in forma chiara e definita,il diritto all'obiezione di coscienza in relazione a
questioni delicate da un punto di vista etico (...) a condizione i diritti
degli altri di non essere vittime di discriminazione siano rispettati e che
l'accesso di tutti ai servizi pubblici sia comunque garantito ".
Ecco che, forse, alla luce di
questa tendenza al necessario contemperamento tra libertà di coscienza e
rispetto della legge, la questione della “clause
de conscience” in merito alla celebrazione di matrimoni tra omosessuali,
analizzata in ambiente meno condizionato dalla rigida impostazione legicentrica
francese come quello della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, potrà trovare –
ce lo auguriamo- una risposta più rispettosa delle diverse sensibilità che si
manifestano in relazione a questo tema.
Lorenzo Focardi
BIBLIOGRAFIA
-« L’objection
de conscience des maires et la CEDH » nella rivista « Revue Lamy Droit
Civil », n°108, ottobre 2013, pp. 37-42
[1] “il pubblico ufficiale non può rifiutarsi di
celebrare il matrimonio se non quando esistano impedimenti o le formalità
amministrative previste per legge non siano state correttamente assolte”
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