In Cina il tasso dei suicidi femminili è molto alto: oltre 590 donne al giorno si tolgono la vita. E pare che questo sia strettamente collegato con la politica del figlio unico e con gli aborti forzati.
Lo afferma l’attivista Reggie Littlejohn,del “Women’s Rights Without Frontiers”, raccontando le storie di tante donne cinesi, fra cui quella di Zeng Lili. Tutto inizia quando a Zeng arriva una notifica dall’ufficio di pianificazione familiare: il bambino che aspetta è il secondo per il marito precedentemente sposato e già padre. La scelta viene rivolta al capofamiglia: abortire o pagare una multa salatissima. Lui decide per la prima opzione, e Zeng è costretta a subire un aborto al nono mese e a vedere il bambino sopravvivere nella sofferenza inflittagli per qualche momento e poi morire.
Littlejohn racconta che Zeng ha tentato il suicidio per ben tre volte, non riuscendo a sopportare il dolore della violenza inflittagli: ha raccontato all’attivista di essersi sentita come un maiale al macello. Ma la storia di Zeng non è un caso unico né raro: a un mese fa risale la testimonianza di Li Fengfei, anche lei costretta ad abortire al nono mese a causa della politica del figlio unico, in seguito alla somministrazione di un mix di farmaci.
E la lista dei nomi che si potrebbero fare non si ferma sicuramente ai due qui riportati. Altra storia tragica è quella di Feng Jianmei, donna di 22 anni costretta ad abortire al settimo mese. Racconta il marito: “hanno preso mia moglie, l’hanno chiusa in una macchina e portata in ospedale. Hanno proibito alla mia famiglia di vederla. Siccome lei non voleva abortire, le hanno preso la mano e obbligata a imprimere la sua impronta digitale su un documento”.
E la lista dei nomi che si potrebbero fare non si ferma sicuramente ai due qui riportati. Altra storia tragica è quella di Feng Jianmei, donna di 22 anni costretta ad abortire al settimo mese. Racconta il marito: “hanno preso mia moglie, l’hanno chiusa in una macchina e portata in ospedale. Hanno proibito alla mia famiglia di vederla. Siccome lei non voleva abortire, le hanno preso la mano e obbligata a imprimere la sua impronta digitale su un documento”.
Per Feng la violenza è andata addirittura oltre: dopo l’aborto, hanno disteso il corpicino del bambino accanto a lei, ancora in ospedale, e l’hanno fotografata e pubblicata su Internet. Continua Deng, marito della donna, “per evitare tutto ciò avrei dovuto pagare 40 mila yuan (4.500 euro) ma è più di quello che guadagno in 4 anni di lavoro e non avevo tutti quei soldi”.
Molte sono le vittime della politica del figlio unico, utilizzata dalla Cina per frenare la crescita demografica, che ha impedito la nascita di 400 milioni di bambini. Pare che ormai sia diventata un tema di cui si parla abbastanza, tanto da non attirare più il nostro interesse. Perché spesso al male ci si abitua, per preservarci dal dolore.
Molte sono le vittime della politica del figlio unico, utilizzata dalla Cina per frenare la crescita demografica, che ha impedito la nascita di 400 milioni di bambini. Pare che ormai sia diventata un tema di cui si parla abbastanza, tanto da non attirare più il nostro interesse. Perché spesso al male ci si abitua, per preservarci dal dolore.
Ma le coscienze, quelle hanno orecchie più attente e davvero, come dice Chai Ling –dissidente e capo del movimento Tienanmen e impegnata nella lotta contro gli aborti forzati- si tratta di uno dei più grandi crimini contro l’umanità, “è lo sventramento segreto e inumano di madri e figli; è il massacro di Tiananmen che si ripete ogni ora; è un olocausto infinito che va avanti da 30 anni”.
(Giovanna Sedda)
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