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Il miraggio dell’abolizione del figlio unico in Cina.

Abbiamo voluto vedere dei grandi passi nell’alleggerimento della legge sul figlio unico in Cina, ma la realtà è rimasta pressoché invariata. 


Le violazioni dei diritti umani non si sono fermate, soprattutto quelle a discapito delle donne in gravidanza. A distanza di pochi giorni dalla “buona notizia”, infatti, un’altra donna al nono mese di gravidanza è stata costretta ad abortire.

E sono sei. Negli ultimi mesi sei donne sono state ricercate, prelevate con forza e portate all’ospedale dove gli è stato iniettato un veleno che ha indotto il parto e provocato la morte del bambino. Tutte donne in gravidanza avanzata e tutte donne appartenenti a una minoranza musulmana, gli uighuri. Due figli per gli uighuri che abitano in città e tre per chi abita in campagna. Questa la dura legge varata dallo Stato, che non ammette eccezioni. Per chi supera il limite, c’è l’aborto forzato e la sterilizzazione.

Dell’ultima mamma che ci racconta la cronaca si sanno poche informazioni. Si sa che era madre di tre figlie e aspettava un maschietto, per far nascere il quale avrebbe dovuto pagare tra i 6 mila e i 14 mila euro. Nel tentativo di salvare il proprio piccolo, anche questa mamma, come le donne di cui abbiamo già raccontato sottoposte allo stesso sopruso di Stato, aveva tentato la fuga in un altro paese, ma invano. È stata trovata e portata di forza in ospedale.

E noi che avevamo sperato che il nuovo anno avrebbe portato delle grosse novità…

GS

La Cina dice basta al controllo delle nascite.

Oggi la storica decisione del partito: in futuro abolizione della legge sul figlio unico.


Il comitato permanente (plenum) che guida il governo riunito a Pechino ha annunciato, insieme a maggiori aperture economiche, la abolizione della legge sul figlio unico. Una legge al centro di numerose denunce da parte delle organizzazioni prolife, oltre che da alcune ONG particolarmente sensibili. "Wan, xi, shao" era lo slogan del programma nazionale di controllo sulle nascite: “fare figli più tardi, con intervalli più lunghi e in numero inferiore". Negli ultimi anni, da un semplice invito si è passati ad una vera e propria imposizione riconosciuta legalmente.

La “campagna pubblicitaria”  della Politica del Figlio Unico, divenuta normativa ufficiale dal 2001, dice: “La tua casa sarà distrutta se non pratichi l’aborto”. Il controllo sulle nascite, fatto allo scopo di fronteggiare il forte aumento demografico impone alle coppie ad avere un solo bambino (per saperne di più puoi leggere questo articolo). L’aborto non è solo consigliato: numerosi sono infatti i casi di interventi più o meno diretti con conseguenze devastanti oltre che in palese violazione dei diritti umani. Lo afferma l’attivista Reggie Littlejohn,del “Women’s Rights Without Frontiers”, raccontando le storie di tante donne cinesi che dopo l’aborto hanno tentato il suicidio, fra cui quella di Zeng Lili.

Tutto inizia quando a Zeng arriva una notifica dall’ufficio di pianificazione familiare: il bambino che aspetta è il secondo. La scelta viene lasciata al capofamiglia: abortire o pagare una multa salatissima. Lui decide per l’aborto: Zeng è costretta a subire un aborto al nono mese e a vedere il bambino sopravvivere nella sofferenza inflittagli per qualche momento e poi morire. Littlejohn racconta che Zeng ha tentato il suicidio per ben tre volte, non riuscendo a sopportare il dolore della violenza inflittagli e non si tratta di un caso isolato (ne abbiamo parlato in questo articolo).

L'indicazione lanciata oggi dal “Plenum” comunista è di portata storica: è la prima volta dal ’79 che si mette in discussione la Politica del Figlio Unico. Probabilmente non si tratta di una svolta umanitaria ma di un preciso segnale politico oltre che di una esigenza economica: l’apertura cinese ai mercati da una parte può sostenere le nuove nascite, dall'altra ha bisogno di una maggiore domanda interna che può venire solo da un numero crescente di cittadini. L'annuncio odierno non porta con se effetti immediati, i tempi della politica cinese sono lunghi e i programmi decennali, ma rappresenta indirettamente un importante cambiamento culturale: Adam Smith oggi potrebbe dire che la "mano invisibile" che guida l'economia è prolife.

(Giovanna Sedda)




Non è un pianeta per donne

L'aborto costituisce il principale nemico della popolazione femminile al mondo, ma il femminismo fatica a capire.


Il movimento femminista ha in parte destato l’opinione pubblica sulle discriminazioni storiche della donna, ma ha fallito nella rivendicazione del più basilare diritto, quello alla vita. Il femminismo ha paradossalmente fallito la propria emancipazione dalla "conquista dell’aborto" e dalla valutazione ideologia che ne segue. Bloccato nella sua interpretazione storica non riesce a vedere che oggi l’aborto è essenzialmente il primo nemico al mondo per la popolazione femminile.

Seguendo la geografia di genere, cioè lo studio dei due agenti, uomo e donna, che modificano lo spazio [1] possiamo tracciare una fotografia del mondo basata sul “tasso di femminilità”: il numero di donne per ogni cento uomini. Il tasso di femminilità alla nascita è di per se biologicamente sfavorevole alle donne con una media di 94,5 femmine ogni 100 maschi [2].

Questa sproporzione iniziale se teniamo conto della popolazione vivente non solo scompare, ma viene addirittura ribaltata grazie alla maggiore longevità della popolazione femminile. Fanno eccezione una serie di paesi tra cui l’India, la Cina, il Pakistan in cui la condizione sociale della donna ne pregiudica non solo la sopravvivenza alla nascita, ma la stessa esistenza. Il ricorso all’aborto selettivo ha cancellato dal pianeta intere generazioni di donne.

Le “donne mancanti” secondo le stime del premio Nobel indiano Amartya Sen erano nel 1992 oltre cento milioni [3]. I dati del censimento indiano del 2001 mostrano come nonostante un uguale numero di donne e uomini in età compresa tra 0 e 14 anni, all’aumentare dell’età lo squilibrio aumenta sensibilmente. Lo squilibrio è imputabile sia ai cambiamenti della protezione sociale nel paese di cui beneficiano soprattutto gli uomini [4] sia ad un pesante ricorso all’aborto selettivo come mostrano gli stessi dati del censimento del 2001. Se teniamo presente che il trend mondiale mostra che il miglioramento delle condizioni sociali ha effetti positivi maggiori per la popolazione femminile, lo squilibrio indiano si fa ancora più allarmante.

Come ha posto in evidenza Antonella Rondinone, uno studio condotto nella regione del Punjab mostrava che nonostante il 72% delle donne intervistate fosse contrario all’aborto, il 95% di loro si dichiarò contemporaneamente favorevole a ricorrevi in caso di figlie femmine. Un simile trend sempre più diffuso nel mondo avrà evidentemente più conseguenze negative che positive [5]. Secondo l’associazione medica indiana il 42% delle figlie femmine viene abortito a fronte del 25% dei figli maschi[6]. Riuscirà il femminismo a riconoscere nella pratica abortiva il principale nemico delle donne? Quante donne ancora dovranno “mancare” prima che la politica e la militanza apra gli occhi sull’inviolabile diritto alla vita?

(TE/Giovani Prolife)
_________
[1] Arena, G. Geografia al femminile. Unicopli, 1990.
[2] Clarck, J. I. The human dicotomy: changing number of males and females. Pergamon, 2000.
[3] Sen, A. More than 100 million women are missing. New York Review of book, 20, 1992.
[4] Mayer, P. Indian falling sex ratios, Population development review, 25, 1999.
[5] Rondinone, A. Le donne mancanti: lo squilibrio demografico in India. Rivista geografica italiana, 1, 2003.
[6] Rmachandran, S. Indian religious leader decry killing unborn baby girls. CNSNews, 27 giugno 2001.

L’indissolubile legame dei diritti del bambino concepito e della donna: il caso cinese.

In Cina il tasso dei suicidi femminili è molto alto: oltre 590 donne al giorno si tolgono la vita. E pare che questo sia strettamente collegato con la politica del figlio unico e con gli aborti forzati. 


Lo afferma l’attivista Reggie Littlejohn,del “Women’s Rights Without Frontiers”, raccontando le storie di tante donne cinesi, fra cui quella di Zeng Lili. Tutto inizia quando a Zeng arriva una notifica dall’ufficio di pianificazione familiare: il bambino che aspetta è il secondo per il marito precedentemente sposato e già padre. La scelta viene rivolta al capofamiglia: abortire o pagare una multa salatissima. Lui decide per la prima opzione, e Zeng è costretta a subire un aborto al nono mese e a vedere il bambino sopravvivere nella sofferenza inflittagli per qualche momento e poi morire.

Littlejohn racconta che Zeng ha tentato il suicidio per ben tre volte, non riuscendo a sopportare il dolore della violenza inflittagli: ha raccontato all’attivista di essersi sentita come un maiale al macello. Ma la storia di Zeng non è un caso unico né raro: a un mese fa risale la testimonianza di Li Fengfei, anche lei costretta ad abortire al nono mese a causa della politica del figlio unico, in seguito alla somministrazione di un mix di farmaci.

E la lista dei nomi che si potrebbero fare non si ferma sicuramente ai due qui riportati. Altra storia tragica è quella di Feng Jianmei, donna di 22 anni costretta ad abortire al settimo mese. Racconta il marito: “hanno preso mia moglie, l’hanno chiusa in una macchina e portata in ospedale. Hanno proibito alla mia famiglia di vederla. Siccome lei non voleva abortire, le hanno preso la mano e obbligata a imprimere la sua impronta digitale su un documento”. 

Per Feng la violenza è andata addirittura oltre: dopo l’aborto, hanno disteso il corpicino del bambino accanto a lei, ancora in ospedale, e l’hanno fotografata e pubblicata su Internet. Continua Deng, marito della donna, “per evitare tutto ciò avrei dovuto pagare 40 mila yuan (4.500 euro) ma è più di quello che guadagno in 4 anni di lavoro e non avevo tutti quei soldi”.

Molte sono le vittime della politica del figlio unico, utilizzata dalla Cina per frenare la crescita demografica, che ha impedito la nascita di 400 milioni di bambini. Pare che ormai sia diventata un tema di cui si parla abbastanza, tanto da non attirare più il nostro interesse. Perché spesso al male ci si abitua, per preservarci dal dolore. 

Ma le coscienze, quelle hanno orecchie più attente e davvero, come dice Chai Ling –dissidente e capo del movimento Tienanmen e impegnata nella lotta contro gli aborti forzati- si tratta di uno dei più grandi crimini contro l’umanità, “è lo sventramento segreto e inumano di madri e figli; è il massacro di Tiananmen che si ripete ogni ora; è un olocausto infinito che va avanti da 30 anni”.

(Giovanna Sedda)

Gli Hitler di oggi



Una riflessione sul valore che diamo alla vita tra presente e passato prossimo.


Ottanta anni fa circa, quasi sei milioni di ebrei furono uccisi perché considerati un ostacolo per il dominio da chi si reputava appartenente ad una "razza superiore". Ai loro occhi gli ebrei apparivano come delinquenti, corrotti, inferiori e potremmo continuare questo elenco di "banalità". Oggi, a parte una piccola sfortunata minoranza - per fortuna -, tutti concordano sia che Hitler fosse un pazzo, un uomo violento e cattivo, sia che non verrà più permessa una tragedia del genere. 

Eppure ci sono tanti piccoli Hitler che agiscono silenziosamente e che noi facciamo finta di non vedere e di non sentire. Mariti che uccidono le mogli, neonati gettati nella spazzatura, violenze indicibili: basta che ascoltiate cinque minuti un telegiornale e di sicuro ne sentirete parlare. Peccato che quelle siano solo una parte di tutte le vittime. Ma mai una volta che si senta parlare dei bambini abortiti. Mai.

Nel passato ci sono state diverse prese di posizione nei confronti dell’aborto.Nelle culture matriarcali  l’aborto generalmente veniva ritenuto un insulto alla divinità femminile e si pensava che rifiutare una vita donata dalla Dea portasse sfortuna. Nell’antica Grecia, invece, c’era la così detta kalokagathia, cioè l’uomo doveva essere bello e buono, e perciò si ricercava la perfetta forma fisica, e così si iniziò a parlare di eugenetica - il primo fu proprio il filosofo Platone -. Nella società romana, invece, l’uomo era il pater potestas e spettavano a lui tutte le decisioni: aveva anche il diritto di vita o di morte su un figlio.

Nella società cinese e indiana molte bambine vengono abortite ancora oggi solo per il fatto di essere femmine. Purtroppo è una dura realtà che pochi si ostinano a combattere. Basta pensare che attualmente negli USA e in Europa si può acquistare una crema antirughe ottenuta dai bambini abortiti. E non sono gli unici casi raccapriccianti. Anche in Cina una azienda usa i feti per la produzione dei propri cosmetici. In Inghilterra, i medici di una clinica specializzata in aborti vendevano i feti dicendo che “Un bambino deve avere 28 settimane di vita perché sia riconosciuto legalmente come essere umano. Prima di questo momento equivale a spazzatura". E’ quasi un affare per le donne: un feto viene pagato tra i 70 e i 150 dollari. 

Mentre noi stiamo zitti, c’è gente che fa soldi sulle vite umane: perché un bambino non nato cos’è se non una vita umana? Molti, invece, vorrebbero considerare il concepito un bambino solo dopo il terzo mese di gravidanza, limite ultimo consentito per l’aborto ( ancora più se contempliamo l'aborto "terapeutico")... quindi ieri era un “grumo di cellule”, oggi è un bambino. E’ un po’ come dire: “ieri ero un alcolizzato, oggi non più, sono guarito” : ma la persona che sei oggi, eri anche ieri. Serve molto più di un giorno per uscire fuori dal problema dell’alcool. Così per una vita umana: ventiquattro ore non possono fare tutta la differenza che vorrebbero farci credere nello sviluppo di un bambino nel grembo materno.

Eppure questo è il nostro mondo, non quello di ottanta anni fa: si impedisce a un bambino di venire alla luce per produrre una nuova crema antirughe, si fanno esperimenti sugli embrioni, si lasciano morire i malati perché considerati un costo sociale. Ma pensate se quel bambino fossi stato tu e la tua vita considerata come un qualsiasi prodotto commerciale: la tua vita venduta per raccimolare 100 dollari. Una soluzione va cercata e va in questa direzione la campagna ‘ Uno di noi’, che sta raccogliendo firme in tutta l’Europa proprio per difendere le vite umane concepite e non ancora nate.

Giovanni Paolo II scrisse nell’Evangelium Vitae: "Ritroviamo l'umiltà e il coraggio di pregare e digiunare, per ottenere che la forza che viene dall'Alto faccia crollare i muri di inganni e di menzogne, che nascondono agli occhi di tanti nostri fratelli e sorelle la natura perversa di comportamenti e di leggi ostili alla vita, e apra i loro cuori a propositi e intenti ispirati alla civiltà della vita e dell'amore". Allora davvero cerchiamo di togliere i paraocchi, di fare in modo che tra qualche anno nei libri di storia non si parli di una seconda Shoa, questa volta contro chi non è ancora nato.
(Ilenia Viale)

Liu Xiaobo: dal Nobel alla Cina

 

Dall'impegno per la democrazia alla difesa della dignità umana. Quando difendere la vita è un reato politico.


Chi l'ha detto che in Cina non si difendono i diritti umani? La vita e la testimonianza di Liu Xiaobo, ci fa affermare il contrario. Liu è un docente universitario di filosofia, critico letterario e scrittore cattolico cinese, insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2010 e distintosi per la sua battaglia per la difesa dei diritti umani fino a perdere la propria libertà.

Infatti, lo scrittore cinese è stato condannato dalla Corte Popolare di Pechino un anno prima della premiazione al Nobel per essere stato uno degli iniziatori e promotori della stesura della Charta 08, manifesto democratico che pone in evidenza i limiti del sistema di governo cinese e promuove riforme politiche alternative che pongono l’accento sull’importanza della difesa dei diritti umani.

Il nome del “dissidente politico”, accusato di sovversione ai poteri dello stato, ha fatto il giro del mondo assieme all’immagine della sedia vuota nella sala della premiazione di Oslo, dividendo l’opinione pubblica in due, tra sostenitori e avversari. Difensore della causa dei diritti fondamentali, Liu Xiaobo, punta il dito sulla decisione del governo di far prevalere la causa economica su quella umana, in un Paese che negli ultimi dieci anni ha sfidato le leggi dell’avanzamento economico e che ora più che mai ambisce a divenire potenza economica mondiale.

Liu, nei suoi scritti censurati dal governo, svela i limiti del benessere e del successo economico del paese e considera Internet come uno strumento di potere nelle mani del cittadino per liberarsi delle ingiustizie, capace di varcare ogni barriera, non solo geografica e temporale, ma anche impositiva. Nei suoi scritti trapela la sua ferma posizione di centralità della persona umana e la sua vicinanza verso tutti coloro che credono nell'importanza della vita, della libertà e della civiltà.

(Antonella Sedda)
 
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