Le testimonianze delle ragazze che incontrano il lavoro dei Centri di Aiuto alla Vita ci danno ogni volta un pizzico di entusiasmo in più per continuare il nostro lavoro. Perché non è importante il loro grazie in sé, ma il loro sorriso che è il vero trionfo della vita.
Questa è la storia di Maria e Josè, perché il coraggio e la forza, come l’amore per la vita, devono essere la base della coppia. Due nomi come tanti e importanti come pochi. Maria e Giuseppe, tradotti, come la prima coppia che scelse per l’accoglienza della vita nonostante le condizioni sociali ed economiche non fossero delle migliori. Maria e Josè sono originari dell’America Latina e hanno una figlia, Janet. Josè fa il meccanico e Maria è alla ricerca di un impiego perché con il solo lavoro di Josè è ormai difficile arrivare a fine mese e rispondere alle esigenze di una bambina dell’età di Janet. In questo periodo di instabilità, Maria scopre di aspettare un bambino e ne parla a Josè: entrambi sanno l’impegno che richiede un bambino, soprattutto economico tra spese mediche, alimentari, vestiario ecc.
Sono terrorizzati perché sanno di non potercela fare con quell’unico stipendio e anche basso, che a malapena bastava per tre. O meglio, doveva bastare non solo per tre, perché Josè, con quell’unico stipendio aiutava anche la sua famiglia, in forte difficoltà economica. Non ce l’avrebbero potuta fare. L’aborto era l’unica soluzione. Tutti in casa consigliavano per l’IVG. E così, insieme, hanno preso la decisione sofferta di non accogliere quel bambino. Maria va dall’assistente sociale, per parlare della sua situazione e le dice che vuole abortire e quali sono le ragioni. Ma l’assistente sociale –racconterà poi Maria- “sembrava che fosse stata messa lì, apposta per me, che mi aspettasse.
Mi ha consigliato di rivolgermi al Centro di Aiuto alla Vita, capendo quale sofferenza e tristezza aveva generato in me quella terribile decisione che ero stata quasi costretta a prendere. Io sapevo che cosa voleva dire essere madre, per cui era ancora più difficile parlare di aborto”. Ryan ha oggi sei mesi ed è il frutto del coraggio di questi due genitori. Maria, il giorno fissato, si è presentata all’ospedale per l’aborto. Ma, mentre ero in sala d’attesa con altre ragazze, ho pensato: «Ma che cavolata sto facendo?». Ho mandato un messaggino al mio compagno dicendo: «Non ce la faccio» e lui mi ha risposto: «Esci». Ho preso il mio zainetto e sono andata via con lui.
“Il Centro di Aiuto alla Vita è il protagonista di questa storia, nella persona che ho incontrato la prima volta. L’accoglienza che mi ha riservato, mi ha rasserenato. Non è stato tanto il sostegno materiale offerto, quanto quello morale. Di quel giorno ricordo queste poche parole che per me hanno contato tanto e ogni tanto le ricordo: «Giovane, sei forte! Ce la puoi fare». Così mi ha detto per incoraggiarmi la responsabile del centro. Sì, perché io dubitavo di me e questo mi ha dato il coraggio che mi mancava per affrontare di nuovo tutto”. Il Centro di Aiuto alla Vita continua a seguire Maria e Josè, e Juliet e Ryan.
Maria va ogni mese al Cav per ricevere l’aiuto economico di Progetto Gemma. In realtà, l’attività del Cav va oltre l’aiuto e diventa una vera e propria amicizia, o forse fratellanza, come ci raccontano le operatrici Cav. “Quando ne sento il bisogno oppure ho qualche problema, telefono e ogni volta ho sempre la stessa sensazione di essere accolta e rafforzata; di essere seguita come farebbe una mamma, oppure una nonna che ti guida nella crescita”, dice Maria. E come ogni storia a lieto fine, la storia di Maria e Josè, ti regala un sorriso, che è più luminoso di quelli che riservi agli eventi quotidiani. Perché ha la forza della vita che brilla oltre ogni difficoltà.
(GS)
(GS)
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