Emily Letts, 25 anni, del New Jersey, ha abortito perché non
si sentiva pronta ad avere un figlio.
Fin qui tutto ormai spaventosamente normale. Ma la brillante
donna ha pensato di propagandare il suo gesto, rendendolo pubblico fino all'estremo:
ha pubblicato il video del suo aborto su Youtube. Chi sostiene ancora –erroneamente-
che la maternità sia un fatto privato, può oggi contrapporre il fatto che l’aborto
sia un fatto pubblico (perché?).
A parte le riflessioni sul buon gusto della scelta (in altre parole, che me ne importa a me di vedere il tuo aborto?), risulta ancora più agghiacciante la testimonianza che accompagna il video (non aspettatevi che inserisca il link): “la società vuol far passare le donne che abortiscono come colpevoli ma non dovrebbe essere così. Io non mi sento né triste né colpevole. Mi sento in soggezione davanti al fatto che io possa concepire un figlio, che possa creare una vita”.
A parte le riflessioni sul buon gusto della scelta (in altre parole, che me ne importa a me di vedere il tuo aborto?), risulta ancora più agghiacciante la testimonianza che accompagna il video (non aspettatevi che inserisca il link): “la società vuol far passare le donne che abortiscono come colpevoli ma non dovrebbe essere così. Io non mi sento né triste né colpevole. Mi sento in soggezione davanti al fatto che io possa concepire un figlio, che possa creare una vita”.
Riflettiamo, criticamente.
- Quale società e in che modo vuole condannare le donne che abortiscono? È sempre facile la generalizzazione quando si vuole normalizzare un proprio comportamento. Io sono la società, me ne sento completamente parte e mi sento rappresentata da questa parola, ma sicuramente non giudico le donne che abortiscono. E come me, penso la maggior parte delle persone. E non mi si venga a parlare delle realtà prolife-terroriste. È una bugia che ci siamo stancati di sentire. Da anni, moltissime associazioni prolife nel mondo si occupano, ad esempio, di sindrome post-aborto, e di aiutare e accogliere le donne che hanno abortito.
- Lei non si sente né triste né colpevole. Il fatto
che Emily cerchi una giustificazione pubblica fa riflettere sulla veridicità dell’affermazione.
Gli psicologi potrebbero dire molto in merito ma, siccome non è il mio
mestiere, mi limito solo a un’osservazione generica. Ammettendo, e già faccio
un grande sforzo di fantasia, che questa affermazione sia vera, chi dice che
tutti siamo uguali e reagiamo allo stesso modo? E se mi si rispondesse a questa
domanda che “lei non voleva sicuramente dire questo”, allora mi spiegate il
senso del video? Se è una scelta personale con delle reazioni personali, perché renderla
pubblica? Scusate l’azzardato e di poco gusto paragone ma… mi si autorizza a
fare un video della devitalizzazione del mio dente (non un bello spettacolo)? Voglio dimostrare che a me
non fa male.
Da mass-mediologa (o aspirante tale) potrei dilungarmi sull'uso, non solo sbagliato ma raccapricciante e in continua espansione, dei mezzi di comunicazione e in particolare dei social media. Ma a questo, mi sono data una risposta tempo fa. I social come tutto ciò di cui ci avvaliamo, sono strumenti. E in quanto tali non sono né buoni né cattivi. Dipende dall'utilizzo che ne fa la persona, che è il reale soggetto. E che dovrebbe, prima di veicolare una qualsiasi informazione, chiedersi se il messaggio è opportuno e quali sono gli effetti che questa avrà su altre PERSONE. Sì, perché dietro gli schermi, a volte ci dimentichiamo che ci sono persone, con sentimenti reali! - Sulla soggezione ad essere donna, purtroppo non posso esprimere che un parere personale. Ma come si fa a vergognarsi del dono più grande che ci è stato dato? Mi sembra l’ennesima maschera dietro la quale nascondersi, per non affrontare la gravità di un gesto irreversibile e non privo di conseguenze sulla donna (dimostrabili scientificamente, non presunte o lette su Internet). Anche su questo punto, i miei amici psicologi potrebbero dire tanto. Non vi nascondo che, per scrivere questo post, avrei voluto studiare psicologia. Ma siccome così non è, lascio spazio alle riflessioni di ognuno.
Aldilà dei dettagli e dei sentimenti che traspaiono anche dalla sua non comunicazione non verbale, dai suoi occhi velati di tristezza, per me, la frase più forte è “nessuno mi ha detto che era vita”. Due colloqui nei
consultori, con una psicologa che le ha strettamente consigliato la soluzione
per il suo “problema”, “fino a che sei ancora in tempo”.
Sento spesso questa frase: “nessuno
mi aveva detto che dentro di me c’era una vita” o “nessuno mi ha realmente
detto che cosa stavo facendo”. Per questo, sono triste (al contrario di Emily Letts), perché la propaganda
fatta con armi di cattivo gusto, false e tendenziose, arriva alle donne. Ma è
anche ciò che mi spinge a lottare per la vita: le donne che abortiscono sono
spesso vittime di una cattiva informazione. Noi volontari prolife siamo qui per questo, per
contrastare questo fenomeno di tristezza indotta. Chiamatelo "giudicare"...
GS
Nessun commento:
Posta un commento