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La propaganda triste: vita e morte di Savita

Se è vero che la vita si difende con la bellezza della vita, ogni volta dobbiamo riconoscere che quanti spingono la propaganda per la liberalizzazione dell'aborto non esitano a stravolgere anche gli episodi più tragici pur di creare triste materiale di repertorio. 

In Irlanda la linea tra strumentalizzazione e falsificazione è già stata superata. Ce ne parla il sito dell'UCCR che ha diffuso un'interessante analisi di un caso giunto agli onori della cronaca europea che riguarda la tragica morte di una ragazza, Savita Halappanavar, avvenuto a Galway, presto divenuta la bandiera di quanti vorrebbero liberalizzare l'aborto nel Paese.

"In Irlanda l’aborto è un atto illegittimo e un reato penale punibile con la reclusione in quanto tramite l’interruzione di gravidanza avviene l’uccisione di un essere umano. Dal 1992 è consentito soltanto in determinate circostanze, ovvero quando “la vita di una donna è a rischio a causa della gravidanza, compreso il rischio di suicidio” (i dati indicano una media di un aborto ogni due o tre anni). Da tempo il mondo abortista cercava un espediente da usare come grimaldello per legittimare l’aborto libero, tuttavia il tasso di mortalità materna in Irlanda è tra i più bassi al mondo, ben al di sotto di tutti i Paesi in cui l’aborto è legale.

Nel 2012 si è improvvisamente presentato il “caso Savita” ed è stato immediatamente sfruttato. Secondo il racconto dei media, Savita Halappanavar si è presentata in stato di gravidanza (17° settimana) il 21 ottobre 2012 presso l’University Hospital di Galway, in Irlanda, accusando un forte mal di schiena e, si dice, chiedendo di abortire. L’ospedale tuttavia le avrebbe risposto che non era in pericolo di vita e non avrebbero agito come da lei richiesto perché “questo è un Paese cattolico”, inoltre il cuore del feto batteva ancora. Nel corso dei giorni, il feto è morto spontaneamente e l’utero è stato svuotato ma a Savita è stata diagnosticata una setticemia che l’ha portata a morire il 28 ottobre 2012. Ovviamente in tanti hanno sostenuto che la sua morte è stata causata dalla restrittiva legge sull’aborto e che Savita è una martire della crudeltà cattolica. [...]

Savita è morta per una infezione fatale: il presunto aborto negato e l’ethos cattolico non hanno nulla a che vedere con la tragedia della giovane madre. Questo il verdetto unanime della giuria chiamata ad esprimersi, che ha anche fornito una serie di raccomandazioni affinché casi del genere non si ripetano, come ad esempio quello di chiarire esattamente quando una donna si trovi in pericolo di morte. Il rapporto Arulkumaran ha semplicemente dichiarato una negligenza medica e una non aderenza alle linee guida cliniche relative alla gestione rapida ed efficace della sepsi, senza imputare l’accaduto alla mancata interruzione di gravidanza. La terza inchiesta voluta dal ministero della sanità per appurare le cause della sua morte arriverà ad un verdetto definitivo non prima della fine dell’estate."

Fonte: Redazione UCCR
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