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Il documentario di Live Action: lo spettro di Kermit sulle cliniche

“Non deve guardare, si sforzi di non guardare”: Negli USA i timori che il caso Gosnell non sia un’eccezione si fanno sempre più reali, ora un documentario scuote i sostenitori prochoice e interroga l’opinione pubblica.

No, non facciamo riferimento a Kermit the frog, la rana dei Muppet, ma alla terribile vicenda giudiziaria di Kermit Gosnell che ha fatto venire alla luce una clinica degli orrori sconvolgendo gli Stati Uniti. Spesso i volontari per la vita, con la loro gioia e il loro entusiasmo, sono chiamati a confrontarsi con una realtà dei fatti che rasenta la crudeltà. Il gruppo pro life “Live Action” ha pubblicato una serie di inchieste-video che vogliono rendere noto all’opinione pubblica quanto succede nelle cliniche degli USA specializzate negli aborti.

Il lavoro arriva in seguito al clamoroso caso di Kermit Gosnell. Proprio una delle testimonianze filmate, ci ha spinto a parlarne con i nostri lettori: una donna chiede al medico come sarà il bambino “rimosso” e il medico risponde ridendo: “non so perché ti fai tutte queste domande, fallo e basta”. Molte donne non sanno che dentro di loro esiste una vita, perché nessuno glielo hai mai detto: si fa tutto in fretta e in silenzio. L’ultimo documentario racconta la storia di una donna che ha praticato l’aborto a poche settimane di gravidanza. La procedura descritta fa, in questo caso come in molti altri, ricorso all’utilizzo di sostanze medicinali che vengono iniettate nel liquido amniotico. Una pratica simile a quella a cui è sopravvissuta Gianna Jessen e che ha ispirato il film “October baby”. 

Il protocollo seguito da consulenti e medici è a tratti raccapricciante come emerge da una delle conversazioni del documentario:
Consulente: Sta partorendo, allora non chiuda a chiave la porta della stanza d’albergo. Tenga vicino il cellulare e si sieda sul gabinetto… Non deve guardare nulla, non deve pulire nulla […].
Donna: E cosa succede se esce mentre sono in bagno?
Consulente: Semplicemente non deve guardare giù, non deve fare nulla. […] cioè se pensa che sia troppo guardarlo, beh, si sforzi di non guardarlo. Se mai si copra con un asciugamano o con qualcosa.

Molti altri dialoghi andrebbero riportati secondo un criterio giornalistico che usi lo scoop e la violenza per attirare l’attenzione. Ma noi non siamo qui per stare sul pezzo, siamo qui per servizio. E qui ci fermiamo: all’impulso della riflessione e nel pieno rispetto della sensibilità di ogni lettore che passerà per questa pagina.
Non condividiamo la disinvoltura nell’impiego di immagini forti che spesso contraddistingue alcuni gruppi prolife, ma questo non significa non voler sottolineare la violenza dell’aborto. Semmai è un voler ricordare che all’aborto c’è sempre alternativa: una possibilità di aiuto concreto che è rappresentata dai Centri di Aiuto alla Vita dislocati in ogni città italiana e il numero verde SOS Vita, attivo ad ogni ora e gratuito anche da cellulare, 800 81 3000 a cui chiedere direttamente assistenza.

Qualche domanda ai sostenitori della posizione pro choice, cioè a favore della scelta della donna, viene spontanea... Siamo sicuri che l’aborto interessi solo la donna e un “grumo di cellule”? Siamo sicuri che sia una scelta da compiere in nome della salute fisica e psichica della donna? Siamo sicuri che le donne siano realmente informate su cosa stanno scegliendo? E infine non sarebbe meglio, almeno per una volta, smettere di parlare delle donne e fermarsi ad ascoltare, per davvero, le donne?

Giovanna Sedda

 
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