La storia di una gravidanza inattesa e della forza femminile che non rinuncia a far discutere grazie alla sua carica umana. “Perché i francesi riescono a girare film che gli italiani non realizzerebbero nemmeno sotto tortura?”.
A chiederselo è una delle recensioni che accompagna il film sul portale MyMovies. Probabilmente la delicatezza onnipresente rende il film impensabile non solo per gli spettatori italiani. Nel film i toni pastello, i silenzi e rumori quotidiani accompagnano il percorso di Claire, interpretata da Lola Naymark, una diciassettenne con i ricci rossi e il viso biancoì che si confronta con la sua gravidanza inaspettata. “La ragazza vuole tenere nascosto il suo stato e pensa che la miglior soluzione sia quella di allontanarsi dal supermercato in cui lavora, partorire nell’anonimato e dare quindi il bambino in adozione. Nemmeno i suoi genitori lo devono sapere. Si rifugia così dalla signora Melikian, che ha appena perduto il figlio e che lavora per l'alta moda come ricamatrice”.
Un’altra domanda sollevata da Le ricamatrici: “Esistono ancora film fatti da donne e per donne? Certo, anche se i primi che dovrebbero vederli sono gli uomini”. Questa è l’impressione di Francesco Alò (Il Messaggero) recensendo la pellicola “sicura ma non presuntuosa”. Un film tutto femminile, appunto. Le vicende dell’austera signora si intrecciano con quelle della giovane mamma. Si compone così nel lavoro delle due ricamatrici il ricamo, il nodo della relazione materna al di là dei legami familiari. Una prefigurazione della possibilità di permettere alla vita di ciascuno, compresa quella del figlio il cui destino è ancora incerto, di trovare il calore di uno sguardo seminando un attimo di mutualità, di affetto gratuito, forse anche d’amore.
Tutto il film è una silenziosa, quanto sincera, riflessione per immagini: i 90 minuti di “macchina da presa” sono un volo radente sul ciclo della vita. Con questa opera prima la regista Eleonore Faucher si è aggiudicata il Gran Premio della 43ma Semaine Internationale de la Critique a Cannes 2004. Per Selleri la pellicola di “ghiacciato e vivido splendore” merita decisamente il titolo dei giornali francesi di “film più amato dal pubblico femminile francese”.
La regista propone il tema dell'aborto e del parto in anonimato, del disagio sociale che circonda le ragazze-madri fino a deviarne le scelte sotto la pressione dei pregiudizi. Eppure si pone con nudità al di sopra dei pregiudizi riportandoci all’essenziale di ogni maternità: lo sguardo di una mamma che scopre la vita del suo bambino e cerca un minimo di solidarietà umana attorno a sè. Allo stesso tempo la pellicola sfugge all’etichetta e alla parzialità che solitamente accompagna i film italiani in cui si trattano i temi della bioetica. Non quel che dice il film, ma il film in sé ci lascia la domanda amara con cui abbiamo iniziato: Perché i francesi riescono a girare film che gli italiani non realizzerebbero nemmeno sotto tortura?
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