Dare un nome al dolore: un libro uscito da poco. Anna Fusina intervista l'autrice nel suo blog, e noi ne riportiamo qualche estratto.
- Molti pensano che l'aborto volontario sia un problema che riguarda solo la madre...
Dott.ssa Foà: Pensare che l’interruzione di gravidanza volontaria sia un problema che riguarda solo la madre - e il bambino - corrisponde ad una visione semplicistica della realtà. Il concepimento di un bambino coinvolge innanzitutto un uomo e una donna, che insieme al bambino sono i protagonisti della tragedia: ma non si devono dimenticare gli eventuali fratelli dei bambini abortiti e naturalmente tutti coloro che hanno giocato qualche ruolo nella decisione di abortire o che hanno collaborato all'aborto, cioè i parenti stretti, il personale medico e paramedico e, in ultima analisi, la società nel suo complesso (ciò vale in particolare nel caso delle minorenni, ma non solo). La legge 194/78, che ha legalizzato in Italia l’interruzione volontaria della gravidanza, ha di fatto abbassato la consapevolezza della gravità dell’interrompere una gravidanza in corso e mette persone come medici, infermieri ed ostetriche in condizione di collaborare alla decisione di abortire presa da altri. L’impatto dell’aborto sugli operatori sanitari sta diventando sempre più evidente, il numero degli obiettori di coscienza sempre maggiore e molteplici sono le dichiarazioni di medici che, dopo aver effettuato per anni interventi di interruzione di gravidanza, dichiarano di non essere più disposti a farlo: per citare un caso italiano tra i molti, ricordo Piero Giorgio Rossi, ginecologo che dal 1992 ha effettuato circa 1000 aborti presso la clinica Mangiagalli di Milano, per diventare, dopo vent'anni di pratica clinica, obiettore di coscienza e strenuo oppositore dell'aborto; o il defunto Bernard Nathanson, che dopo oltre 60.000 aborti effettuati negli Stati Uniti ed un passato di attivista a favore delle organizzazioni abortiste divenne una delle voci più forti del movimento pro-life americano.
- Cos'è la "sindrome del sopravvissuto"?
Dott.ssa Foà: E' una sindrome da pochi studiata, di cui è stata teorizzata da tempo l'esistenza e della quale possiamo ben immaginare la vastità di proporzioni: i dati dicono che una famiglia su cinque nel mondo ha vissuto un aborto. Grazie agli studi di Ney, che è colui che l'ha evidenziata tra i primi, si stanno raccogliendo dati su persone che hanno fatto esperienza di tipi diversi di sindrome del sopravvissuto. Se ne sono individuati molti, tra cui: situazioni di bambini che statisticamente hanno poche possibilità di sopravvivere alla gravidanza; bambini i cui genitori hanno pianificato l’interruzione di gravidanza; bambini i cui fratelli sono stati abortiti prima/dopo di loro; bambini che sanno che avevano molte possibilità di essere abortiti perché handicappati o del sesso sbagliato o perché nati fuori dal matrimonio; bambini che sarebbero stati abortiti se solo i genitori avessero potuto; bambini che non sono stati abortiti solo perché i genitori hanno tardato tanto a decidere e non lo hanno fatto solo perché la gravidanza era oltre il termine legalmente consentito per l'aborto; bambini il cui gemello è stato abortito; bambini che sono sopravvissuti durante l’aborto effettuato tramite isterectomia o soluzione salina (in quest'ultimo caso un grande e lungo ago viene inserito tramite la parete addominale della donna e nel sacco amniotico: si aspira un po’ di liquido amniotico e si inietta una soluzione salina concentrata, con conseguente avvelenamento acuto da sale, che corrode, brucia lo strato esterno della pelle del bambino. Disidratazione, emorragia del cervello, gravi danni agli organi, procurano una grandissima sofferenza nell’embrione portandolo ad una morte lenta e con atroci dolori, indicibile sofferenza, spasmi e contrazioni. L’agonia dura alcune ore).
Dalle situazioni suddette emergono enormi conflitti che hanno ripercussioni sull’individuo e di conseguenza sulla società.
Le ricerche condotte da Ney, psichiatra infantile e psicoterapeuta canadese, indicano che nei Paesi in cui ci sono stati livelli alti di aborto sussistono maggiori difficoltà economiche, inefficienze governative e disagi sociali. Uno studio relativo ad una provincia canadese dove c'è il più alto tasso di aborti ha verificato che anche il tasso di abuso sui bambini è il più alto. Questa ricerca conferma che l'aumento di abuso sui bambini in Canada è da correlare all'introduzione dell'aborto libero.
Allora è lecito chiedersi: cosa succede alla persona-figlio sopravvissuto ad un aborto? I figli che ce l’hanno fatta e quindi sono venuti al mondo, come stanno? Come vivono nel profondo le relazioni con i genitori e con gli altri?
Il tema è complesso: come abbiamo visto, la sindrome da sopravvissuto all'aborto colpisce sia coloro che sono sopravvissuti ad un tentativo di aborto, sia fratelli di bambini abortiti dalla madre.
Questi bambini sono afflitti dal senso di colpa per il fatto di essere vivi ed hanno problemi esistenziali originati da una domanda fondamentale, anche se non sempre consapevole: «Mamma, se ci fossi stato io al posto suo, avresti ucciso me?». Come difendersi? I bambini sanno che non possono sopravvivere senza genitori e di conseguenza faranno di tutto per compiacerli, anche a scapito delle loro scelte. In questo modo, i bimbi si rendono capri espiatori di se stessi per evitare di essere maltrattati o ignorati. A causa di questa situazione si pongono molteplici domande: “Come faccio a fidarmi di mia madre e di mio padre? Loro dicono di amarmi, ma cosa hanno fatto al fratellino? Allora che cos'è l’amore? Come è possibile credere all’amore dei genitori?” Questi dubbi sono un elemento di conflitto interiore e disturbano la crescita ed ogni progetto di vita: il senso di colpa paralizza la volontà in modo inconsapevole. Chi soffre in modo grave di questa sindrome non riesce a portare avanti la propria vita, non si realizza e resta come bloccato senza darsi ragione del perché.
- Da quello che ha detto finora, si evince che il consenso informato firmato dalle donne che si accingono a sottoporsi alll'IVG non è realmente "informato"...
Dott.ssa Foà: Ormai si firmano consensi informati per qualunque cosa, ma non ho mai visto nulla che informasse le donne su cosa sia lo stress post-aborto prima che esse abortissero. Certo è che se il pensiero di base è quello che non ci sia nessuno stress o trauma per la donna dopo la morte del proprio figlio abortito, sarà difficile che venga sottoposto alle donne un documento che attesta che invece esso si verifica...
Qualche mese fa chiesi ad un'amica sudamericana di tradurmi in spagnolo un mio scritto. Ne rimase colpita: era un argomento che non conosceva. Poco dopo restò gravida del quarto figlio. Era seriamente agitata perchè gli altri tre erano comunque piccoli. Questa donna ha avuto la fortuna di essere sostenuta dal marito nei suoi momenti di ambivalenza, ma ogni volta che mi incontra mi dice: “Ho pensato al tuo scritto e non ho abortito”. Dire la verità è a mio avviso il modo giusto per informare le persone e renderle consapevoli.
Tutti hanno il diritto di essere informati, di sapere che dopo l'aborto di un figlio la vita non è più la stessa, che la parte gioiosa di noi si frantuma e che non potremo andare avanti nella nostra vita fino a quando non affronteremo questo dolore [...]
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