Il mensile "internazionale", che - a suo dire - raccoglie il meglio della stampa internazionale, pubblica come articolo di punta il pensiero di una femminista che vorrebbe tanto l'aborto normale, comune. E noi gli rispondiamo, attraverso la penna del nostro Giuliano Guzzo
Tanto fumo e niente arrosto. La copertina dell’ultimo numero del settimanale Internazionale, con quel titolo così forte e chiaro – “Libere di abortire” -, illude e basta. Perché lascia intendere al lettore che potrà trovarvi abbondanti argomentazioni a favore della pratica abortiva; ma poi basta dare un’occhiata all’intervento di Katha Pollitt, il pezzo forte di questo numero della rivista, per capire che quel titolone è del tutto ingiustificato, una volgare trappola per attirare lettori. L’intervento della Pollitt infatti, intellettuale femminista particolarmente impegnata sul tema dei diritti, non solo non presenta nulla di nuovo, ma contiene un singolare repertorio di sciocchezze, una macedonia di balle e provocazioni buona solamente a confermare che la bioetica, nel 2014, è come il calcio: tutti, in un modo o nell’altro, si sentono titolati a parlarne ostentando titoli e competenze.
Vediamo alcune delle perle della Pollitt. Scrive che «finché ha la possibilità di abortire, perfino una donna convinta che l’aborto sia un omicidio compie una scelta quando decide di tenersi il bambino. Può sentirsi in dovere di avere quel figlio: Gesù o i suoi genitori o il suo ragazzo le dicono che deve farlo. Ma in realtà non è obbligata. Sceglie di avere quel bambino» [1]. Le criticità del ragionamento sono due: l’ingenua esaltazione della scelta e la convinzione se una donna anziché abortire tiene il bambino lo faccia solo perché «Gesù o i suoi genitori o il suo ragazzo le dicono che deve farlo». La prima verte sulla considerazione secondo cui ogni obbligo è di per sè malvagio ed ogni scelta in assenza di obbligo è automaticamente buona. Ma allora perché non abolire, per esempio, anche l’obbligo legale di prestare soccorso? Non sarebbe bello che la difesa dell’incolumità individuale fosse lasciata all’amore di un cittadino per l’altro?
In attesa di saperlo, andiamo alla seconda criticità di quanto scrive la Pollitt, la quale associa la continuazione di una gravidanza al fatto che «Gesù o i suoi genitori o il suo ragazzo le dicono che deve farlo», mentre tace completamente sulle influenze che possono spingere la donna ad abortire. Il messaggio è il seguente: ogni mamma, anche se non costretta per legge, è stata in qualche modo indotta a diventare tale, mentre la donna che abortisce grazie all’ordinamento giuridico incarna, lei sola, la massima espressione possibile di libertà. Sembra ignorare, la saggista femminista, l’ampia letteratura dalla quale, per esempio, emerge come se il 44% delle donne esprime dubbi riguardo la decisione di abortire al momento della scoperta della gravidanza, al momento dell’aborto il 30% continui ad averne [2]; oppure come negli Stati Uniti, fra il 2000 ed il 2008, a fronte di un lieve calo del tasso di aborto generale (-0,8%), vi sia stato un deciso aumento del tasso di aborto fra le donne più povere:+ 17,5% [3].
Sia chiaro: l’aborto procurato, comportando in ogni caso la deliberata soppressione di un essere umano innocente, è e rimane pratica gravemente ingiusta, quindi per chiunque abbia a cuore la tutela integrale dell’essere umano non ci possono essere eccezioni al divieto di uccidere; ne consegue che la libertà di scelta, laddove c’è di mezzo la sopravvivenza altrui, non può essere tollerata se non all’interno di una prospettiva di accettazione della supremazia del più forte sul più debole. Tuttavia immaginare – o anche solo lasciare intendere, come fa la Pollitt – che alla base dell’aborto non vi possano essere influenze “esterne” (come le economiche) o “interne” (come pressioni familiari, sanitarie, lavorative, ecc.), ma solo, a differenza di una gravidanza portata a termine a causa di pressioni, un insindacabile esercizio di libertà significa prendere in giro le persone.
No, non c’è solo la «coercizione riproduttiva», di cui apprendono i lettori di Internazionale [4], esiste anche – ed è frequentissima – una «coercizione abortiva», ed il fatto che venga taciuta dimostra come certa gente, arrivando ad associare l’aborto ad una “scelta” ed omettendo di descrivere le pressioni a favore dell’aborto,non abbia a cuore la dignità umana e neppure quella libertà della quale, con tanta disinvoltura, si riempie la bocca. La prova definitiva della disonestà della signora Pollitt emerge però in un suo secondo intervento contenuto nella rivista, ancora più sbalorditivo del primo. Valga, per tutti, questo interrogativo che l’intellettuale pone ai suoi lettori: «Ma cosa c’è di così virtuoso nell’aggiungere un altro bambino a quelli dai quali si è già soprafatte?» [5]. Tradotto: avete già due o tre figli? Care donne, se aspettaste un altro figlio correte ad abortire, o sarebbe definitivamente «soprafatte».
Il peggio però deve ancora arrivare. E sfocia, in tutta la sua assurdità, in quest’affermazione: «L’aborto fa parte dell’essere madre e del prendersi cura dei figli, perché parte del prendersi cura dei figli è sapere quando non è una buona idea metterli al mondo» [6]. Se la Pollitt ha ragione, allora anche l’infanticidio e l’uccisione di minori fanno parte «dell’essere madre e del prendersi cura dei figli» e rappresentano una scelta opportuna se non doverosa allorquando una donna – o una famiglia – purtroppo si trovasse, causa crisi economica o disoccupazione o altro, nelle condizioni di non poter più soddisfare certe aspettative che si era fatta sulla crescita e l’educazione dei figli. Se cioè è l’assenza di certi standard di benessere minimi a giustificare un aborto, perché mai se detti standard vengono meno dopo il parto, un figlio dovrebbe essere lasciato nelle condizioni di soffrire? Siamo chiaramente alla follia. Inoltre – anche sorvolando sull’inaccettabilità di queste ed altre affermazioni rifilate ai poveri lettori del settimanale – non si può non notare l’assordante silenzio sulle conseguenze dell’aborto.
Aborto che viene presentato già in copertina come un evento «comune, perfino normale». Scusate, ma se è normale un evento che per la donna comporta più alta incidenza di tumori al seno [7] di isterectomia post-partum [8] depressione, abuso di sostanze [9] e mortalità materna [10], che cosa non dovrebbe essere considerato normale? Se è normale un delitto come l’eliminazione di un essere umano innocente ed indifeso, quale delitto non dovrebbe essere considerato normale? Se è normale seminare così tanta confusione su un tema delicato come quello della tutela della vita innocente, quale menzogna, da domani, sarà più criticabile? Sono solo alcune delle domande che vorremmo porre alla signora Pollitt e a quelli che, più che per l’essere “Libere di abortire”, sembrano battersi per qualcosa perfino di peggiore: l’essere liberi di mentire.
Note: [1] Pollitt K. Parliamo di aborto, «Internazionale» 1078, 21.11.2014;42-43:42;
[2] Cfr. Husfeldt C. – Hansen S.K. – Lyngberg A. (1995) Ambivalence among women applying for abortion. «Acta Obstetricia et Gynecologica Scandinavica»; Vol.74(10): 813-817;
[3] Cfr.. Jones R.K. – Kavanaugh M.K. (2011) Changes in Abortion Rates Between 2000 and 2008 and Lifetime Incidence of Abortion. «Obstetrics & Gynecology»; Vo.117(6): 1358-1366;
[4] Pollitt K. Cambiare prospettiva, «Internazionale» 1078:44-45;
[5] Ibidem;
[6] Ibidem;
[7] Cfr. Bhadoria A.S. – Kapil U. – Sareen N. – Singh P. (2013) Reproductive factors and breast cancer: A case-control study in tertiary care hospital of North India. «Indian Journal of Cancer» Vol.50(4):316-21;
[8] Ossola M.W. – Somigliana E. – Mauro M. – Acaia B. – Benaglia L. – Fedele L. (2011) Risk factors for emergency postpartum hysterectomy: the neglected role of previous surgically induced abortions «Acta Obstetricia et Gynecologica Scandinavica»; Vol.90(12):1450-3;
[9] Cfr. Bellieni C.V. – Buonocore G. (2013) Abortion and subsequent mental health: Review of the literature. «Psychiatry and Clinical Neurosciences Journal»; Vol.67(5):301-10;
[10] Cfr. Reardon D.C. – Coleman P.K. (2012) Short and long term mortality rates associated with first pregnancy outcome: population register based study for Denmark 1980-2004.«Medical Science Monitor»;Vol.18(9):PH71-6.
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