L'ultima cima mostra l’impronta profonda che può lasciare un buon sacerdote nelle persone che incrocia. E provoca una domanda compromettente nello spettatore: potrei vivere anche io così?
L’ultima cima
parla di questo, della “ragionevolezza della fede”, attraverso il ritratto di
un sacerdote che era innanzitutto – e a volte i mass media tendono a
dimenticarlo, quando parlano della Chiesa – un uomo. Il documentario è
incorniciato dalle parole del regista che, guardando fisso nell’occhio della
macchina da presa, presenta la figura atipica, nella sua normalità (è un
paradosso, ce ne rendiamo conto), di un sacerdote che semplicemente ha preso
sul serio la sua missione; un uomo talmente innamorato di Cristo da essere di
conseguenza amante ardente delle necessità e delle fragilità di qualunque
essere umano. Nelle interviste, il regista ha raccontato la sua avventura dello
spirito e come da cristiano tiepido si sia riappassionato alla vita di fede,
proprio grazie alla scoperta di questa figura. “Ero cristiano da sempre – ha
raccontato – ma era come se vivessi in cima alle Dolomiti, chiuso nel rifugio
di montagna senza mai mettere il naso fuori”. Fondamentale, la differenza tra
adesione e conversione: “Se conoscere don Pablo ha provocato in me questo
cambiamento, ho pensato che girare un film su di lui potesse avere lo stesso
effetto positivo sugli altri”.
Per farlo, Cotelo
ha raccolto testimonianze e racconti di quanti hanno avuto a che fare con lui
(al suo funerale erano presenti tremila persone, tra cui ventisei vescovi), e
ne sono stati colpiti, amati, raggiunti fino nei bisogni più intimi del proprio
cuore. Non ne emerge un santino, un’oleografia, né tantomeno un ritratto etereo
o spiritualista. “Per credere in Dio – diceva sempre don Pablo – bisogna usare
la testa”. Soprattutto, si parla della disarmante semplicità con cui ognuno di
noi può incontrare Cristo nelle circostanze della propria vita. Don Pablo era
senz’altro un uomo carismatico, che entrava facilmente in empatia con le
persone, ma il documentario è chiaro nel dichiarare che non bisogna possedere
doti uniche e particolari per svolgere correttamente la propria missione
pastorale. Insomma, è l’essere prete – questo il senso del film – che ha
consentito a don Pablo di usare il proprio carisma, e non il contrario. Quando
in una trasmissione radiofonica gli chiesero di mettere in ordine d’importanza
le sue qualifiche tra: “sacerdote, teologo, filosofo”, don Pablo rispose,
“sacerdote, sacerdote, sacerdote”.
L’ultima cima è
un film che testa lo stato di salute della nostra fede, provocando la nostra
ragione. “Se non volete che vi si complichi l’esistenza – ha detto Cotelo prima
di una proiezione del film a Milano – siete ancora in tempo per uscire dalla
sala. Sì, perché è pericoloso conoscere don Pablo: potreste entrare qui come
spettatori e uscire cambiati in qualcos’altro. Il mio invito è a farvi
sorprendere e ad aprirvi all’inatteso che accade”. […] Si tratta, dunque, di cogliere l’intelligenza
del segno, cioè di seguire quelle orme nella neve lasciate da don Pablo e,
prima di lui, da Gesù stesso (un’immagine che ci evoca un altro sacerdote
spagnolo ancora, San Josemaría Escrivá). Ben si adattano alla storia di don
Pablo, alla normalità di un uomo serenamente innamorato di Cristo, e a questo
piccolissimo film che sta già facendo miracoli, delle parole di Paolo VI:
“L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se
ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni”.
Fonte www.zenit.org
(la recensione
completa su http://www.zenit.org/it/articles/l-ultima-cima-le-ragioni-delle-fede-in-un-film)
Sito ufficiale www.laultimacima.it