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Diritto alla Pillola?

In Toscana inizia la distribuzione della pillola abortiva RU486 al di fuori degli ospedali: un pericolo in più per la salute delle donne, un passo verso l'aborto a domicilio.

Trascorsi cinque anni dal nulla osta dell’Agenzia del farmaco all’immissione in commercio nel nostro Paese del Mifégyne, pillola abortiva prodotta dall’azienda francese Exelgyn, l’aborto medico è ancora una volta al centro del dibattito nazionale a seguito del parere espresso dal Consiglio sanitario regionale della Toscana, che apre le porte all’impiego della RU486 fuori dei presidi ospedalieri. L’organo tecnico dell’assessorato alla salute ha infatti emesso un atto con valutazione favorevole alla revisione del protocollo operativo relativo alle modalità di svolgimento dell’IVG farmacologico sul territorio, contenuto nel parere CSR 47/2010. Tante le perplessità che accompagnano questa nuova rivoluzione, capitanata da una regione che già in passato si era distinta per la propensione dei propri organi di governo a favorire l’aborto chimico. 

La sede dell'AIFA a Roma.
Come emerge dalla relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194/78, è dal 2005 che alcuni istituti impiegano farmaci a base di mifepristone e prostaglandine per l’interruzione della gravidanza. Tra questi ultimi si distinsero le strutture toscane che, attraverso la prassi dell’importazione del farmaco a paziente riuscirono ad assicurare la possibilità di usufruire del nuovo intervento prima che l’AIFA si esprimesse al riguardo, ovvero mentre erano in corso le prime sperimentazioni all’ospedale Sant’Anna di Torino. Eppure, come riportato in questo articolo de Il Tirreno (qui), le prime lamentele sul protocollo in questione erano fin da allora pronte e muovere battaglia contro i tre giorni di degenza che, a detta della senatrice radicale Donatella Poretti scoraggiavano molte donne a compiere tale scelta. 

Il panorama odierno è dunque il seguente: a fronte di una disciplina ministeriale che prevede per la somministrazione dei relativi farmaci il ricovero ospedaliero, il nuovo protocollo prevedrebbe il ritorno a casa della donna dopo due ore dall’assunzione del mifepristone, la prima delle due pillole necessarie a completare l’interruzione di gravidanza. La paziente è poi tenuta, passate 48 ore, a ripresentarsi presso uno dei poliambulatori “adeguatamente attrezzati” per l’assunzione della prostaglandine e dopo 10/15 giorni viene fissata la visita di controllo, che potrebbe addirittura svolgersi in un consultorio. Se fino ad oggi si prevedeva dunque il ricovero ordinario, in futuro sarà possibile compiere l’aborto chimico a domicilio. 

La presentazione della RU486
L’assessorato al diritto alla salute della Toscana, come riportato da Avvenire (qui), “approfondirà e valuterà” il parere tecnico del Consiglio sanitario regionale, ritenuto conforme al dettato dell’art 8, legge 194/78 secondo il quale “Nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione della gravidanza dovranno altresì poter essere effettuati, dopo la costituzione delle unità socio-sanitarie locali, presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione.” 

L’AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani) ha diffuso un comunicato della presidenza sulla libera fornitura della RU486 nei consultori toscani, affermando il proprio dissenso e sottolineando che il parere in questione è “atto arbitrario, poco convenzionale ma anche violento perché manifesta l’intento utilitaristico di voler gestire la vita umana e particolari momenti di fragilità della donna in modo poco responsabile ed esponendola a dei rischi non indifferenti.” Nonché, come sottolineato su Avvenire (qui) dal presidente Filippo Boscia, docente di bioetica dell’Università degli Studi di Bari, una scomoda verità si nasconde dietro a un provvedimento che è detto a tutela della donna e di una sua presunta libertà di scelta e di autodeterminazione: la tutela ha un costo e nel caso di ricovero in ospedale, le cifre si aggirano introno ai 3mila euro. Si compie così un ulteriore passo verso la banalizzazione di un gesto, l’aborto, che anche se praticato fuori dall’ospedale, comunque reca con sé quella sofferenza per una vita mancata che è un sentimento trascendente qualsiasi confine ideologico.

Eleonora Gregori Ferri
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Il parere tecnico del Consiglio sanitario regionale della Toscana: leggi qui

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