La Convenzione del 1948 dice che le "misure miranti a impedire le nascite" sono una forma di genocidio. Eppure Nazioni Unite e ONG continuano a diffondere aborto e sterilizzazione.
Quello che non molti sanno è invece che proprio la “Convenzione per la prevenzione e la
repressione del delitto di genocidio” adottata dall’ONU nel ‘48 considera gli
impedimenti alla nascita di nuovi individui in un gruppo una delle
manifestazioni del genocidio. Questo significa che l’aborto è un elemento della
definizione stessa del crimine di genocidio: un legame giuridico inscindibile.
L’art. 2 ci ricorda che “nella presente Convenzione, per
genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di
distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o
religiose, come tale: (a) uccisione di membri del gruppo; (b) lesioni gravi
all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; (c) il fatto di sottoporre
deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua
distruzione fisica, totale o parziale; (d) misure miranti a impedire nascite
all'interno del gruppo; (e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad
un altro.
L’art. 2 pone una pesante questione giuridica non solo sulla
pratica dell’aborto ma anche delle sterilizzazioni che oltre a impedire le
nascite rappresentano una lesione dell’integrità fisica. La domanda a questo
punto sorge legittima: com’è possibile che aborto e sterilizzazione siano
considerati strumenti di violenza costitutivi del reato di genocidio e al tempo
stesso le Nazioni Unite rilascino il proprio consenso, e le proprie risorse, a
ONG e conferenze regionali che promuovono aborto e sterilizzazione come
strumenti di sviluppo?
Il cortocircuito è stato spesso nascosto dietro il criterio
della scelta: se impieghiamo aborto e sterilizzazione su un gruppo preciso è
genocidio, se li affidiamo alla libera scelta dell’individuo, cosa che spesso
neanche avviene come raccontano numerose testimonianze, possiamo addirittura
sovvenzionare le ONG che li diffondono. Ma diffondere l’aborto e
sterilizzazione in preciso paese, in una precisa area abitata, in un preciso gruppo etnico o sociale fa
cadere miseramente il criterio della scelta. Si svela così la profonda incoerenza delle scelte
ONU e di molte ONG.
(TE/Giovani Prolife)