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30 GENNAIO : IL POTERE dei SENZA POTERE



Sembra evocare il libro di Vaclav Havel (“Il potere dei senza potere”) quanto abbiamo vissuto nel maggio 1978 davanti al Senato, lo scorso 20 giugno in piazza S. Giovanni e quanto rivivremo il 30 gennaio prossimo al Circo Massimo.
Allora (maggio ’78) perché non si approvasse il ddl sull’aborto; oggi perché non abbia il placet di Palazzo Madama l’equiparazione delle c.d. unioni civili al matrimonio, con i noti devastanti effetti sui figli. Allora, un minuscolo drappello; oggi, grazie a Dio, al Comitato “Difendiamo i nostri figli” e a quanti lo supportano, moltissimi, come l’incontro dello scorso 20 giugno ha testimoniato. Allora, per difendere il diritto alla vita dei più piccoli e indifesi; oggi, per tutelare il diritto dei figli ad avere un padre e una madre. Allora, a far fronte alle enormi bugie delle cifre alterate (milioni di aborti clandestini, centinaia di migliaia di donne morte in seguito ad essi), poi smascherate dall’unico studio scientifico, quello del prof. Colombo, ordinario all’Università di Padova; oggi, tesi a sbugiardare, per esempio, il numero delle coppie omosessuali con figli, che non sono “centomila”, come molti vogliono farci credere (anche quotidiani di larga tiratura), ma 529 unità (v.ultimo censimento ISTAT). Cifre gonfiate ad arte per montare, oggi come allora, una campagna umanitario-emotiva capace di impietosire la pubblica opinione e propinarle come atto di “giustizia” l’equiparazione delle unioni civili al matrimonio.
Oggi come allora, quindi, una generale mobilitazione delle coscienze per difendere i senza potere, quelli che non hanno voce, i piccoli, gli indifesi. E ciò, paradossalmente, nel pieno di proclamazioni, anche internazionali, anteponenti a tutto, giustamente, il supremo interesse del minore. Salvo poi disattenderlo sovente nei fatti e nelle leggi. E, quel che più conta, volutamente dimentichi come la primissima relazione che tutti, come figli, abbiamo intrattenuto, è stata quella con la madre nel suo ventre, in un dialogo materno-fetale incrociato, biologico ed empatico al contempo. E come l’ambiente più vantaggioso per il bimbo, la sua crescita umana e la sua identità, sia quello rappresentato da un papà maschio e da una mamma femmina. Cosa documentata ampiamente dalla ricerca scientifica e corroborata dall’esperienza.
Come si può ammettere allora l’utero in affitto, atteso che quell’utero che ha portato il bimbo E’ LA SUA MAMMA, e che in tal modo il bimbo sarà orfano di madre, causando un “buco” biologico insanabile, che nessuna coppia omogenitoriale potrà mai colmare? Ecco perché qualcuno autorevolmente (Possenti) ha definito la pratica dell’utero in affitto “crimine contro l’umanità”! E perchè si stravolge il nobile istituto dell’affido, per rendere socialmente accettabile una forzatura non solo del diritto, ma primariamente del supremo interesse del figlio? Perché incrementare, con l’intero impianto del ddl, la già preoccupante denatalità che affligge non da ieri l’Occidente, conferendo al nostro Paese un triste primato mondiale?
Per tutto questo quella del 30 gennaio prossimo sarà una bella piazza. Non solo perché nata dal basso, formata da gente comune, da tante famiglie, da tanti singoli,ecc. preoccupati per quanto sta accadendo a livello parlamentare. Non solo perché aperta a tutti, quindi laica, civile, democratica, rispettosa di tutte le opinioni. Ma perché sintomatica del “POTERE dei SENZA POTERE”: quello dei piccoli e delle famiglie, che non possono votare in Senato o alla Camera, che i potenti non intendono ascoltare,ma che da sempre garantiscono il futuro di ogni società, in quanto formidabile risorsa per la persona e per il bene comune, attraverso la generazione e l’educazione dei figli- e quindi il perpetuarsi delle generazioni- e il loro ruolo di ammortizzatore sociale, tantopiù nel contesto dell’attuale crisi.
E’ un potere valoriale e sociale incommensurabile, che ha il futuro in mano e che, nonostante la latitanza di politiche familiari, è destinato inesorabilmente a vincere.


                                                                                             PINO MORANDINI
Vicepresidente Vicario del Movimento per la Vita Italiano

DDL Cirinnà: perché siamo contrari



“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale, fondata sul matrimonio”. Lo stabilisce, dopo un ampio dibattito in Costituente, la nostra Carta fondamentale (art. 29). Ed è a questa famiglia che, dunque, vanno riservate particolari tutele oltre a quelle già garantite a tutti i singoli cittadini con gli articoli 2 e 3.

Non si tratta di un principio che introduce benefici speciali per chi decide di condividere la propria vita per motivi affettivi, ma è il riconoscimento che la famiglia si fa carico di funzioni onerose indispensabili per lo sviluppo, non solo numerico, di tutta la collettività.

La stabilità della famiglia non è mera garanzia di mutuo sostegno fra i coniugi: è, soprattutto, elemento di sicurezza per i figli che nella famiglia vengono generati, custoditi per molti anni e preparati all’ inserimento positivo nella società attraverso l’impegno educativo dei genitori.

E’ così per la natura stessa della specie umana che, non essendo guidata da semplici istinti primordiali, necessita da sempre di un lungo periodo di assistenza genitoriale per imparare ad usare al meglio il “dono” della libertà e quindi della responsabilità personale.

Nella società moderna è inoltre indispensabile un lungo periodo di formazione e di studio che va, anche questo, non soltanto a beneficio dei singoli ma dell’intera società.

Da molti anni, tuttavia, è andato crescendo il numero di coppie di fatto che non possono - o non vogliono -contrarre matrimonio e all’interno delle quali nascono - o possono nascere – figli. Pure in aumento è il numero di coppie dello stesso sesso che decidono di convivere ma che, ovviamente, non possono generare figli. Anche queste condizioni richiedono una regolamentazione che, peraltro, non può essere identica a quella prevista dagli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione riferite alla famiglia naturale.


Tutto questo non può non incrociare un principio, elementare, che sta alla base di ogni norma giuridica: non si possono trattare allo stesso modo situazioni diverse.

La sostanziale ed esplicita equiparazione tra le norme in essere a favore della famiglia naturale fondata sul matrimonio e quelle previste dal DDL (disegno di legge) Cirinnà relative alle unioni civili sia etero che omosessuali - come risulta dal frequente rimando alle formule che il codice civile adopera per disciplinare l’unione fra coniugi - non è quindi accettabile. Sono situazioni palesemente diverse e diversamente devono essere trattate.


Nel DDL Cirinnà la costituzione, e la eventuale dissoluzione, delle coppie di fatto, etero o omo sessuali, sono estremamente semplificate. La stessa presa d’atto della fine del rapporto è resa immediata, salvo il caso di rinvio per un anno quando la separazione non sia consensuale.

Non è difficile prevedere che in un futuro non lontano vadano ad aumentare rapidamente le coppie che scelgono la convivenza civile al posto del matrimonio, data la parità di trattamento delle due condizioni e la maggior facilità di costituzione e dissoluzione della coppia di fatto (peraltro a costo zero), in confronto alle lungaggini e ai costi del divorzio, anche dopo le recenti norme sul “divorzio breve”.

Le conseguenze sociali ed economiche della facilitata instabilità delle coppie di fatto sono immaginabili. E’ legittimo il sospetto che vi sia - non soltanto da noi - un disegno strategico per distruggere la famiglia con lo scopo, spesso per conto e sotto la guida dei cosiddetti “poteri forti”, di aumentare il potere di controllo sui singoli cittadini da parte di chi governa. La preoccupazione maggiore riguarda le giovani generazioni che, venendo meno o frammentandosi l’azione educativa da parte dei genitori, potranno essere più facilmente in balìa del “pensiero unico” dominante.



Ancora diversa è l’unione civile fra persone dello stesso sesso.

Queste non hanno né possono avere per legge di natura gli oneri che derivano dalla generazione dei figli. Hanno il carico – comune anche per i coniugi e per le convivenze etero sessuali - che deriva del mutuo aiuto e dalla reciproca assistenza. Per questa importante funzione sociale può essere ragionevole un riconoscimento da parte della collettività. Ma non sembra giusto che a fronte di oneri diversi corrispondano uguali riconoscimenti.

Da questo “limite” nasce la richiesta insistente del “diritto” all’adozione, che il DDL Cirinnà prevede, almeno sotto la forma di “stepchild adoption” (in buon italiano - al quale dovrebbero attenersi anche tutti i nostri organi di informazione - adozione di un figlio naturale di uno/a dei componenti la coppia) o di “affido rafforzato” come da recenti proposte di emendamento.

A sostegno di questa possibilità si adduce l’ipotesi (peraltro scientificamente non provata) che, per la loro equilibrata crescita affettiva ed emozionale, i figli non hanno bisogno delle due figure - maschile e femminile - come è in natura.

Anche in questo caso si tratta di scelte “adultocentriche”, così definite dal segretario CEI Mons. Galantino in una recente intervista, che non tengono conto dei diritti dell’infanzia i quali, come affermato nei solenni documenti di valore “universale” sottoscritti anche dall’Italia, devono prevalere su ogni altro diritto.

Per quest’ultimo motivo, e per gli altri sopra tratteggiati, il DDL Cirinnà, così come formulato, non si può condividere. Per tale disegno di legge, come per altre leggi italiane che toccano valori di fondo radicati nella nostra cultura, mi pare fuorviante sostenere che occorre adeguarsi alle richieste della Commissione Europea o affermare ripetutamente (come viene fatto anche attraverso i mezzi di comunicazione), che “siamo indietro” rispetto ad altri Paesi di Europa. E’ infatti vero che ci viene richiesta una normativa per le unioni civili, comprese quelle omosessuali, ma non vengono certo imposti i contenuti.

Ci sia dunque una legge, ma non si faccia un “guazzabuglio giuridico” che finisce per distruggere il concetto stesso di famiglia.

Non basta mostrare i muscoli alla Commissione europea quando si tratta di questioni economiche o finanziarie. Rivendichiamo con fermezza la nostra identità culturale senza farci influenzare o subire presunte “imposizioni” da chi si ispira a ideologie fondate su falsi concetti di libertà e alimentate da interessi commerciali o da egoismi personali più che su criteri di solidarietà e di rispetto soprattutto verso i più fragili. Con orgoglio e fermezza non facciamoci dettare strade che, alla lunga, potrebbero diventare assai pericolose per tutta la nostra comunità, non solo nazionale, ma anche per quella europea, che sta diventando sempre meno “faro di civiltà” per il mondo intero.




Rivolgiamo dunque alle forze parlamentari un concreto – e decisamente laico - appello in favore di una impostazione realistica: specie su temi così delicati e controversi, sarebbe saggio mettere da parte le forzature divisive e cercare equilibri su ciò che certo unisce.

ANGELO PASSALEVA
Presidente CAV Firenze

Maternità surrogata: è caos internazionale

Assuntina Morresi affronta il tema della confusione legislativa dietro il fenomeno degli “uteri in affitto”.

La giornalista su Avvenire.it ci spiega come la maternità surrogata più che una risposta ai problemi di infertilità si presenta oggi come una seria questione internazionale. Il Parlamento Europeo ha condannato questa pratica  già tre anni fa con una risoluzione datata 5 aprile 2011.

La Morresi ci ricorda anche come la dimensione del fenomeno sia pressoché sconosciuta: alcune stime parlano di una crescita del 100% da 2006 al 2010. Ma a rendere più confuso il panorama è soprattutto l’aspetto legale che investe non tanto i genitori quanto i bambini nati per “conto terzi”. Non è semplice infatti redimere questioni di diritto in merito al riconoscimento dei genitori e alla cittadinanza.

Di fatto le situazioni di diritto sono tre: gli ordinamenti che vietano la maternità surrogata, quelli che non hanno alcuna regolamentazione, quelli che al contrario la consentono e la regolano e infine quelli che oltre a permetterla ammettono la possibilità di pagamenti alle madri. Tra questi ultimi troviamo la Georgia, l’India, la Russia, la Tailandia, l’Uganda e l’Ukraina oltre a 18 stati degli USA.

Tuttavia l’accesso ai contratti previsti per la maternità surrogata è consentito anche ai cittadini di stati terzi. Da qui il carattere internazionale del fenomeno e il flusso di aspiranti genitori, e relativo denaro, che attraversano le frontiere degli Stati in cerca di una normativa favorevole. Ciò ha fatto di questi paesi quelli che Assuntina Morresi definisce come “hubs” per le coppie in cerca di uteri in affitto.

(Giovani Prolife)

Per saperne di più leggi l’articolo integrale:
http://www.avvenire.it/Vita/Pagine/uteroaffitto.aspx

In fuga per salvare il figlio dall'aborto

La straordinaria avventura di Crystal.

Una ragazza del Connecticut a ventinove anni ha deciso di affittare il suo utero: quando nella gravidanza c'è un imprevisto quelli che hanno "comprato" il suo corpo le impongono di uccidere il bambino, contratto alla mano... Ma Crystal non ci sta e inizia una rocambolesca fuga per gli States.

La storia di Crystal è difficile in partenza: due figlie, nessun marito e niente lavoro. Le viene proposta una facile soluzione ai suoi problemi economici: grazie a una maternità surrogata può incassare 22mila dollari.
La coppia che la contatta è già un habitué dei figli in provetta: desidera da Crystal il quarto ed è disposta a pagare generosamente. Crystal accetta e, dal momento dell’impianto dell’embrione congelato nel suo ventre, riceve pagamenti mensili, telefonate, mail e regali. Ma al quinto mese, un’ecografia mostra delle anomalie: la bambina è senza palato e ha il labbro leporino, mostra difetti cardiaci e una cisti nel cervello. 

Viene diagnosticata alla bambina «il 25% delle probabilità di condurre una vita normale». La coppia non ci sta, d’altronde avevano scelto una madre surrogata per «minimizzare il rischio di difetti e di sofferenza per il bambino». Non vuole sottoporre la bambina a una serie di difficili operazioni e comunica a Crystal la propria decisione: l’aborto. I due non si espongono personalmente con Crystal, ma ci tengono a che la neonatologa scelta da loro come portatrice del messaggio di morte, sottolinei il vincolo contrattuale esistente e quindi il loro diritto a decidere. 

Crystal non è d’accordo, nega alla coppia questo diritto e da questo momento diviene l’emblema della gravidanza in affitto. Fa causa alla coppia, contrapponendo il diritto di nascere di sua figlia contro il diritto di un uomo e una donna di comprare un neonato. La coppia la minaccia di denuncia per danni e le fa un ulteriore offerta in denaro per comprare la morte della bambina: diecimila dollari. Ma Crystal sa cosa vuol dire essere mamma, e spiega che con Baby S. sente già un legame profondo. 

La coppia chiede allora di affidare la neonata ai servizi sociali, ma Crystal rifiuta ancora l’offerta dei due e fugge in Michigan, dove la legge vieta la maternità surrogata e dove trova un gruppo prolife che sostiene le  future madri di bambini disabili. La bambina nasce con tutti i problemi previsti: è sottoposta ad operazioni, ed altre ancora la attendono. Ma Crystal non può realmente tenere la piccola. 

E qui un piccolo miracolo: tra le famiglie di disabili che la supportano trova una coppia che vuole adottare Baby S.. Loro sanno che la vita della bambina è appesa a un filo ma gioiscono per ogni suo sorriso e sguardo, per ogni istante d’amore che la bambina gli fa vivere. 

A conclusione della storia, la dimostrazione che “solo l’amore crea”: i genitori genetici, che hanno poi rinunciato alla loro potestà, sono andati a cercare Crystal col desiderio di conoscere quel piccolo miracolo di nome Baby, la cui vita è rocambolescamente sfuggita al loro egoismo. A loro, come a ciascuno di noi, Baby ricorda l'unicità e la preziosità di ogni persona... e che la vita umana va difesa "a qualsiasi costo".

(Giovani Prolife/Giovanna Sedda)
 
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