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I farmacisti verso l'obiezione di coscienza.

L'on. Gigli guida la discussione a Montecitorio: "La medicina dei desideri non cura".

Il Prof. Gigli, nostro ospite al Seminario Quarenghi 2013, guida il convegno alla Camera “L’obiezione di coscienza dei farmacisti: tra bioetica, deontologia professionale e biodiritto”. Commentando la presentazione dell'incontro il deputato ha detto: “Oggi la ricerca farmacologica ha messo a disposizione dell’utente prodotti che non servono a curare malattie, ma a soddisfare la cosiddetta medicina dei desideri".

L'on. ha poi aggiunto: "Tra questi, alcuni farmaci potenzialmente abortivi. Sorge da qui il problema dell’obiezione di coscienza per i farmacisti, un diritto fondamentale ancora negato loro, ma la direttiva europea sulla medicina transfrontaliera e sul riconoscimento delle ricette mediche emesse in altri Stati Ue ha di fatto riaperto la possibilità che tale diritto fondamentale sia riconosciuto anche per questi professionisti.

Grazie al contributo di esperti e di colleghi parlamentari il convegno alla Camera su questo tema si propone di approfondire gli aspetti scientifici, giuridici e deontologici che possano permettere di far avanzare lo spazio della coscienza anche nell’esercizio della professione del farmacista”.

“L’obiezione di coscienza dei farmacisti: tra bioetica, deontologia professionale e biodiritto”.  (ore 15, Sala Aldo Moro - Ingresso principale di Palazzo Montecitorio-registrazione obbligatoria).

Fonte: CS Gigli.

Perché la contraccezione non riduce gli aborti

Continua la riflessione sulla contraccezione come "prevenzione" all'aborto, un binomio mai tramontato che però non regge alla prova dei fatti. Trovi una piccola introduzione nelle nostre domande scomode qui (domande scomode).


Uno dei più longevi miti dell’abortismo è quello secondo cui un accesso agevolato alla contraccezione riduce le gravidanze indesiderate e, dunque, gli aborti. «Dobbiamo puntare molto sulla contraccezione come momento di prevenzione», affermava non a caso la politica abortista Maria Magnani Noya (cit. in. La questione femminile, Marsilio 1976, p. 62). La contraccezione come prevenzione all’aborto, dunque. Ma le cose stanno proprio così? Che cosa dice al riguardo la ricerca scientifica? A questa diffusa convinzione corrispondono degli effettivi riscontri oppure si tratta, per quanto popolare e radicata, di una leggenda metropolitana? La sola risposta attendibile può giungerci prendendo in esame i Paesi che sulla contraccezione hanno deciso, per così dire, di scommettere.

Prendiamo per esempio il caso inglese: la Gran Bretagna è un Paese dove da alcuni anni si è deciso di investire massicciamente nella diffusione di contraccettivi. Una scelta non casuale ma pensata in risposta all’allarmante fenomeno abortivo tra le adolescenti e alla crescita del numero complessivo delle interruzioni volontarie di gravidanza. Più contraccezione meno aborti, le aspettative erano queste. Ebbene, dopo qualche tempo dall’avvio di questo programma si è verificato un fatto totalmente inaspettato: le cose sono peggiorate. Il numero degli aborti, anche se di poco, ha infatti continuato a crescere – nel 2011 sono stati 189.931, mentre nel 2010 furono 189.574 – ma soprattutto tra le giovanissime sono aumentati drammaticamente gli aborti multipli: nel 2010 in 485 hanno abortito per la terza volta, in 57 per la quarta, in 14 per la quinta, in 4 per la sesta e in 3 per la settima. Orbene, non occorre molto per capire che in un Paese dove quasi 500 adolescenti all’anno abortiscono per la terza volta è in corso un disastro educativo di vaste proporzioni e, quel che è peggio, destinato a crescere.

A questo punto si potrebbe ribattere facendo osservare che quello inglese è comunque un caso singolo e dunque sarebbe affrettato impiegarlo per decretare il fallimento sociale della contraccezione. Le cose non stanno così dato che quanto accade in Gran Bretagna si è verificato anche altrove. Pensiamo alla Spagna dove, secondo quanto riferisce uno studio pubblicato un paio di anni fa, nell’arco di una decade all’aumento del 63% dell’uso dei contraccettivi è corrisposto una crescita ancora maggiore, pari addirittura al 108%, del tasso di aborto (Cfr. «Contraception» 2011; 83(1):82-7). Oppure pensiamo al caso della Svezia dove, tra il 1995 ed il 2001, durante un periodo di facilitazione della diffusione dei contraccettivi, il tasso di aborto delle adolescenti è lievitato del 32% (Cfr. Sexually Transmitted Infections» 2002; 78 (5):352-356). E potremmo continuare a lungo, se non fosse già chiaro non c’è correlazione tra contraccezione e riduzione delle gravidanza indesiderate (Cfr. «Journal of Health Economics» 2002; 21(2):207-25).

Non solo: i dati che abbiamo ricordato, unitamente ad altre risultanze, rafforzano l’ipotesi opposta, e cioè che la contraccezione sia causa o almeno concausa dell’aumento degli aborti (Cfr. «Working Paper, Duke University Department of Economics» 2008: 1-38 at 31). Ipotesi supportata anche dal fatto che oltre la metà delle donne intenzionate ad abortire – secondo quanto emerso in alcune ricerche – in precedenza faceva regolare ricorso alla contraccezione (Cfr. Guttmacher Institute 2008, Facts on Induced Abortion in the United States).

Come mai tutto questo? Le spiegazioni del fenomeno – precisato che qualora vi sia stato concepimento prodotti non di rado spacciati come contraccettivi (Norlevo, Ru-486, EllaOne) producono effetti abortivi – sono principalmente di due tipi. La prima è di ordine etico e riguarda il fatto che giammai un male, in questo caso l’aborto, può essere fronteggiato e men che meno superato ricorrendo a strategie a loro volta immorali, quali certamente sono le scelte di promozione della contraccezione; il fine, insomma, non giustifica i mezzi. Anche perché ricorrendo a mezzi ingiusti – come in questo caso – difficilmente si persegue il fine prefissato.

Passiamo così ad una seconda spiegazione dell’inefficacia della contraccezione, derivante da quella che potremmo definire una “incompatibilità di livelli”. Se infatti il fenomeno delle gravidanze, in particolare quelle tra le giovanissime, come sappiamo è del tutto reale, non è tuttavia detto che sia esso sia di natura squisitamente materiale. Al contrario, tutto lascia pensare che dietro vi siano forti carenze educative. Il che spiega come mai, se si predispone una risposta materiale – la distribuzione di contraccettivi – ad una domanda valoriale – il bisogno di autentica educazione all’affettività ed alla sessualità –, detta domanda non trova alcuna risposta adeguata e continua ad ingrandirsi. Esattamente con il tasso di aborto tende a crescere (o comunque certamente non decresce) con la diffusione dei contraccettivi.

Ne consegue che solo sostituendo la corrente apologia della contraccezione con una sana introduzione all’affettività e potenziando l’implementazione di interventi di gruppo che indirizzino il comportamento sessuale degli adolescenti si può ridurre l’incidenza del fenomeno delle gravidanze indesiderate (Cfr. «American Journal Of Preventive Medicine» 2012; 42(3): 272–294). Viceversa, insistendo con la politica contraccettiva si seguiterà a rimandare o, come abbiamo visto, a peggiorare la dimensione di un problema che già oggi è di proporzioni allarmanti.

(Giuliano Guzzo - segui il link- pubblicato su “Radici Cristiane” n. 79)

Contraccezione d’emergenza? Ma non scherziamo...

L'effetto anti-annidamento  è incompatibile con i principi su cui si fondano le nostre Leggi.


E’ urgente per la popolazione, ma anche per il mondo medico, un’opera di informazione programmata su vasta scala e attuata con strumenti idonei. Si afferma senza alcuna esitazione che il Norlevo agisce posticipando o inibendo l’ovulazione, in realtà ne consegue una impossibilità per l’embrione di annidarsi. 

L’Oms, la Food and drug administration Usa, l’Agenzia europea dei medicinali, le più rappresentative società scientifiche dei ginecologi sostengono che i contraccettivi d’emergenza prevengono l’ovulazione e
quindi impediscono il concepimento, senza interferire in alcun modo con l’annidamento.

Nella realtà, invece, gli studi sperimentali evidenziano che questi farmaci non sono in grado di prevenire il concepimento, se non quando vengano assunti proprio all’inizio del periodo fertile. Nei giorni fertili successivi, invece, questi farmaci non hanno alcun effetto sull’ovulazione e sul concepimento, mentre rendono l’endometrio inospitale per l’embrione.

[...] Si afferma senza alcuna esitazione che il LNG agisce posticipando o inibendo l’ovulazione, e che
quindi preverrebbe il concepimento, senza poter in alcun modo interferire con l’annidamento di un
embrione eventualmente concepito. E’ quanto sostenuto dalla Federazione internazionale dei ginecologi e ostetrici (FIGO) negli Statements ufficiali del 2008 e del 2011: "How do Levonorgestrel-only emergency contraceptive pills (LNG ECPs) work to prevent pregnancy?" (per trovarlo basta digitare in qualunque motore di ricerca le parole “FIGO and emergency contraception”).

In realtà, negli studi citati a sostegno di queste affermazioni (la bibliografia), la maggioranza delle donne studiate ovula regolarmente dopo aver assunto il farmaco nei giorni della fase pre-ovulatoria avanzata, e cioè nei giorni più fertili del ciclo. Si osserva un ritardo nella liberazione dell’uovo, nell’80% dei casi, soltanto se il  farmaco viene assunto nel primo dei giorni fertili. Ovviamente, però, una donna che assuma il farmaco nel primo giorno fertile a seguito di un rapporto sessuale avvenuto da uno a tre giorni prima, lo assumerà   inutilmente in quanto il rapporto era avvenuto in periodo non ancora fertile.

Mi limito ad aggiungere che dagli articoli citati traspare anche che il LNG, somministrato nel periodo fertile pre-ovulatorio, impedisce la formazione di un corpo luteo adeguato rendendo insufficiente la produzione di quegli ormoni (progesterone in particolare) che hanno il compito di preparare l’endometrio all’impianto. Ne consegue una impossibilità per l’embrione di annidarsi. Va segnalato anche che LNG, assunto nei giorni fertili, previene il 70% delle gravidanze, pur essendo incapace di inibire l’ovulazione proprio nei giorni più fertili del ciclo, quelli in cui si concentrano il maggior numero di rapporti e di concepimenti. Evidentemente la ragione del suo successo risiede in altro: le modificazioni indotte nell’endometrio.

[...] La grande e reclamizzata novità di ellaOne, presentata come “la pillola dei cinque
giorni dopo”, è proprio quella di essere totalmente efficace anche se presa cinque giorni dopo il rapporto sessuale avvenuto nel periodo fertile del ciclo. Se immaginiamo un rapporto sessuale avvenuto il giorno prima dell’ovulazione, con il concepimento entro le successive 24 ore, come potrà invocarsi un’azione anti-ovulatoria e anti-concezionale per un agente chimico assunto fino a cinque giorni da quel rapporto e quindi tre giorni dopo il concepimento? Si avrà esclusivamente un’azione anti-annidamento. Ma questo effetto non è compatibile con i principi fondamentali su cui si fondano le nostre Leggi e la nostra stessa Costituzione.

[...] E’ urgente per la popolazione, ma anche per il mondo medico, un’opera di informazione programmata su vasta scala e attuata con strumenti idonei. La conoscenza dei meccanismi del ciclo mestruale e della fertilità, ma soprattutto la consapevolezza piena che da ogni concepimento è chiamato a esistere “Uno di noi”, dovranno essere il caposaldo su cui fondare la responsabilità nella procreazione e la motivazione a scelte conseguenti che escludano dal novero dei contraccettivi i metodi che agiscono dopo il concepimento.
E’ la scelta di fondo, il discrimine. E’ anche ciò che prevede la nostra legge.

Autore: Bruno Mozzanega. Fonte MpV(vai al link www.mpv.org)
 
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