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I bambini e il talco di Pollon.

Quando l'amore fa notizia: l'ordinaria fiducia nell'altro e un incontro inatteso ad alta quota.


Devo dire la verità, tutta la verità. All’inizio la notizia mi ha un po’ infastidita. La domanda era: davvero viviamo in una società in cui l’amore fa notizia? Eppure dovrebbe essere naturale. Dovrebbe essere normale che un uomo non si lamenti di una bambina autistica ma anzi la faccia giocare… poi ho messo da parte lo spirito iper critico che mi contraddistingue (purtroppo) e mi sono goduta appieno la bellezza dell’essere umano.

Questa settimana, diversi giornali, hanno riportato la notizia di Shannel, la mamma di Kate, una bimba autistica, che ha scritto una lettera al vicino di posto in aereo per ringraziarlo delle attenzioni che ha regalto a Kate.

La lettera inizia così: “Caro papà del sedile 16C”… è già questa cosa mi commuove. Sarà che sono un’inguaribile romatica ma 1. La donna scrive una lettera. Non una mail o un sms. Una vecchia e dolce lettera, in cui può dilungarsi nelle spiegazioni, in cui può manifestare I suoi sentimenti senza avere paura di essere troppo lunga. 2. La lettera è indirizzata a uno sconosciuto. In un mondo dominato dalla paura dell’altro, una donna scrive (i suoi sentimenti) a una persona che non conosce. Sì, l’umanità è proprio bella quando si mostra nel suo lato più fragile e sensibile, l’unico nel quale ognuno sii può riconoscere e l’unico che permette a propria volta di aprirsi senza reserve.
È doveroso e piacevole, riportare il testo in alcune suoi parti, senza commenti.

"Caro Papà,
Non so il tuo nome, ma mia figlia Kate ti ha chiamato "papà" per l'intera durata del nostro viaggio la settimana scorsa e tu non l'hai mai corretta. Infatti, non ti sei tirato indietro perché probabilmente potevi capire che lei non ti stava davvero confondendo con suo padre, ma stava testando la sua fiducia nei tuoi confronti. Se ti ha chiamato così, vuol dire che ha pensato che potevate andare d'accordo.

[…]Ho visto molte donne dall'aspetto rassicurante a bordo e ho sperato che fosse una di queste a occupare quel posto, ma tutte procedevano oltre. Per un attimo ho pensato che sarebbe potuto rimanere vuoto, ma poi ti ci sei seduto con la tua borsa e i tuoi documenti dall'aria importante e io ho avuto una visione, quella di Kate che rovesciava dell'acqua su questi contratti da milioni di dollari, questi atti immobiliari, o di qualunque cosa si trattasse. Quando ti sei seduto, Kate ha cominciato a strofinarsi sulle tue braccia. Le maniche della giacca erano morbide e le piaceva quella sensazione. Le hai sorriso e lei ti ha detto: "Ciao papà, questa è la mia mamma". Poi l'hai conquistata.
Avresti potuto sentirti a disagio su quel sedile. Avresti potuto ignorarla. Avresti potuto farmi uno di quei sorrisi che tanto disprezzo, quelli che significano "Gestisca vostra figlia, per favore". Invece non hai fatto niente di tutto ciò. Hai cominciato a chiacchierare con Kate, facendole quelle domande sulle sue Tartarughe Ninja. Lei non poteva risponderti davvero, ma l'hai fatta così innamorare, che manteneva il contatto visivo e l'attenzione sulla tua voce. Guardavo e sorridevo. Ho cercato anche di farti qualche domanda per distrarla, ma tu non volevi distrarti.
Kate: (dopo aver notato che avevi un iPad): È il computer di papà?
Tu: Si, è il mio iPad. Vuoi vederlo?
Kate: Io???? ( Avevo capito che Kate stava pensando che stavi chiedendole di mantenerlo)
Io: Guardalo soltanto, Kate. Non è il tuo.
Kate: Che bello!
Tu: (Notando che anche Kate aveva un iPad): Anche il tuo iPad è molto bello. Mi piace quel colore viola.
Kate: Papà, vuoi essere un ragazzo cattivo? (Porgendoti Shredder, il leader malefico tra le Tartarughe - e questo, amico mio, è un grande premio)
Tu: Fantastico!
Siete andati avanti a lungo e mai mi sei sembrato infastidito. Kate ti ha concesso anche un momento di tregua e si è messa a giocare con Anna ed Elsa, le sue bambole. Gentile da parte sua salvarti dalle Barbie, ma sono convinta che non ti avrebbe dato fastidio nemmeno quello. Scommetto che hai anche tu delle figlie.
Nel caso tu te lo sia chiesto, stava meglio quando siamo scese dall'aereo. Grazie per averci fatto passare avanti. Si sentiva schiacciata all'inizio e, uscendo, un grande e lungo abbraccio era proprio quello di cui aveva bisogno.
Quindi grazie. Grazie per non avermi fatto ripetere quelle solite frasi che solitamente dico alla gente che incontro quando sono con Kate. Grazie per averla intrattenuta. E per aver messo via le tue cose, i tuoi libri, per passare il tempo a giocare alle Tartarughe Ninja con la nostra bambina".

Mentre finivo di leggere la lettera pensavo. “Certo che solo i bambini possono riuscire nel miracolo di rendere il mondo più bello”. E, da una che crede ancora nelle favole, il volo pindarico è stato: “sarà mica che il talco del cartone animato Pollon ce l’hanno loro e lo usano per far sorridere i grandi?”. E siccome è bello credere nelle favole ma non rifiutando la realtà sono consapevole della nota dolente di quel “Grazie per non avermi fatto ripetere quelle solite frasi che solitamente dico alla gente che incontro quando sono con Kate”. In altre circostanze, questo mi avrebbe spinto a fare una critica sulla società intera, invece, (anche questo un “miracolo” di Kate?) per una volta mi sono limitata a godere della bellezza dell’essere umano e della Vita!

GS

Morte di una sposa bambina.

Rawan, una bimba di 8 anni è morta in seguito alle lesioni subite durante la sua prima notte di nozze. Succede ad Hardh, la zona tribale al confine con l’Arabia Saudita, nello Yemen. 

La decisione di vendere la bimba e darla in sposa ad un quarantenne è stata presa dai genitori della piccola. Le autorità locali negano l’accaduto, mentre la stampa inglese, la prima a dare la notizia, si dice pronta a confermare e ad attestare il fatto. Ma del resto non c’è di che stupirsi: il fenomeno delle “spose bambine”, infatti, secondo quanto testimoniato dalle Nazioni Unite è  una pratica più che diffusa nei paesi dell’Asia meridionale, dell’Africa subsahariana e in altri Paesi in via di sviluppo (Cina esclusa).

Le gravidanze precoci provocano ogni anno più di 70.000 morti. Di questi, la maggior parte sono ragazze di età compresa tra 15 e 19 anni, alle quali vengono negati i diritti umani fondamentali e a cui vengono fatte subire, rispetto alle spose maggiorenni, maggiori violenze, abusi e sfruttamento. Si tratta di bambine costrette ad abbandonare precocemente il proprio nido familiare e a fare i conti con una realtà crudele, subendo, nel migliore dei casi, conseguenze pesanti per la loro sfera affettiva, sociale e culturale.

Secondo le dichiarazioni dell’UNICEF “i matrimoni precoci contravvengono ai principi della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che sancisce il diritto, per ogni essere umano sotto i 18 anni, ad esprimere liberamente la propria opinione (art. 12) e il diritto a essere protetti da violenze e sfruttamento (art. 19), e alle disposizioni di altri importanti strumenti del diritto internazionale”.

Gli attivisti chiedono che lo sposo e la famiglia di Rawan, vengano arrestati e portati a giudizio, anche in nome di tutte le altre bambine che subiscono lo stesso destino, forse più silenzioso, di Rawan. Le statistiche di Human Rights Watch, infatti, confermano che il 14% delle donne yemenite viene dato in sposa prima dei 15 anni e se si pone il limite a 18 anni la percentuale sale al 52%. Le percentuali salgono ancor di più se ci si sposta nelle aree rurali del paese, dove spesso prevalgono leggi ibride, con residui tribali e innesti di diritto islamico.

Al momento, in Yemen, non esiste un età minima per il matrimonio. Nel 1999, infatti, il limite dei 15 anni fu abolito dal parlamento. Nel 2009 ci fu un altro tentativo, nel Paese, per porre l'età minima del matrimonio a 17 anni. Questo tentativo fu però bloccato da un gruppo di giuristi che sostenevano fosse in contravvenzione alla Sharia (legge islamica). Infatti, come ricorda ancora l’UNICEF: “occorre essere consapevoli che le radici di questo fenomeno risiedono in norme culturali e sociali legate sia a pregiudizi di genere che a strategie sociali proprie delle economie di sussistenza, in primo luogo l’esigenza di “liberarsi” prima possibile del peso rappresentato dalle figlie femmine, ritenute meno produttive per l’economia familiare”.

Giovani prolife/A S

Super-child: il bambino dai poteri straordinari

Superman_by_LeMex on Deviantart

Nicola Weller è una donna inglese di 29 anni, mamma di una bambina di quattro anni che si trova improvvisamente ad aspettare il secondo. Non voluto: Nicola usava la spirale per evitare una seconda gravidanza. Eppure, quando la vita bussa alla porta, non si può prevedere. Così, Nicola rimane incinta anche se non è convinta di tenere il bambino.

La situazione si complica quando la donna viene mandata dal medico di base all’ospedale Bridport Community nella contea inglese di Dorset per sottoporsi ad alcuni controlli. L’esito del controllo si rivela un’amara sorpresa: alla donna viene diagnosticato il cancro all’addome. La reazione di Nicola è quella che si può immaginare davanti a una situazione tanto tragica: “Ero devastata. Mi è semplicemente caduto il mondo addosso. Ero terrorizzata dall’idea di lasciare mia figlia senza madre”.

A Nicola viene fissata la data dell’intervento a cui precede una ecografia. Ma, come nella migliore delle favole, mentre la donna aspetta di sapere dove sia collocato esattamente il tumore… “l’infermiera improvvisamente si è alzata ed è uscita dalla stanza. In pochi minuti è ritornata con altri tre radiologi”.

È allora che a Nicola viene comunicata la notizia più inattesa: il tumore è scomparso. Gli ormoni prodotti dalla gravidanza sono riusciti a sconfiggere il suo male e la mamma è salva grazie al nuovo arrivato: Brandon.

«Incontrare il figlio che mi ha salvato – ha detto la madre – è stato bellissimo. È davvero un bimbo forte. Lo abbiamo persino soprannominato “Superman”: è nato con il braccio destro puntato in avanti [...] “È come se qualcuno lo avesse mandato dall’alto per salvarmi la vita. Non volevo quel bambino e ora invece sono piena di gioia per il fatto che c’è».

Cantava, un cantautore italiano, qualche anno fa… “La forza della vita”.

Giovanna Sedda

Il mio mondo in una scatola


La scatola che vedete qui sopra è il primo lettino di ogni bimbo finlandese. Ehm no non vengono imballati e spediti via... fatemi spiegare!

La scatola in questione fa parte del cosiddetto pacco maternità che il governo finlandese destina ad ogni neo-mamma. Insieme alla scatola che viene usata come lettino ci sono anche i primi vestitini, tutto il necessario per dormire, un libro illustrato e dei giocattoli. Al posto del pacco è possibile anche ricevere un aiuto in denaro per ogni neonato, anche se solitamente la maggior parte delle donne preferisce la scatola.

E’ interessante notare come una misura introdotta per aiutare le mamme in difficoltà negli anni ’30, quando il paese era povero e con un altissimo tasso di mortalità infantile (65 su mille), sia a poco a poco assunto al grado di vera e propria tradizione popolare. Le famiglie si ritrovano felici a commentare gli oggetti contenuti nel pacco e, dato che i colori e l’oggettistica variano leggermente di anno in anno, si divertono a indovinare l’anno di nascita dei bambini degli altri. Spiega Titta Vayrynen, 35 anni e madre di due bambini.

Tramite il pacco maternità passa anche la politica infantile finlandese. Negli anni ’70 viene introdotto il pannolino di stoffa, per sensibilizzare al rispetto dell’ambiente. Sono rimossi i biberon, per favorire l’allattamento al seno, e, con l’introduzione del libro illustrato, si spinge il bambino già a prendere confidenza precocemente con i libri affinchè un giorno li legga più volentieri.

Con uno Stato che ha una politica familiare veramente degna di questo nome, non a caso le mamme finlandesi sono le più felici al mondo! A volte basta poco...anche solo una scatola!

Giovanni Gori


Appello dei pediatri: uccidiamo i bambini.

Un collettivo di medici scrive al governo belga per consentire l’eutanasia dei bambini.


L’incredibile appello arrivato ieri (6 novembre) alla commissione salute del senato in Belgio è firmato da sedici pediatri “di fama”. L’appello arriva ovviamente nel giorno in cui la commissione è chiamata a discutere un emendamento per applicare anche ai minori la legge nazionale sulla “dolce morte”, che già oggi consente la scelta dell’eutanasia per gli adulti.

Il collettivo di pediatri firmatari dell’appello si richiama al solito slogan della propaganda pro eutanasia fondato sulla paura del dolore. Secondo quando riporta il quotidiano De Morgen i medici chiedono l’applicazione dell’eutanasia per i loro piccoli pazienti “che devono affrontare sofferenze terribili”. Evidentemente per i dottori “di fama” il ricorso alla terapia del dolore, che accompagna la cura degli stadi terminali, è troppo semplice. Meglio lanciare “un appello disperato” al senato.

Lo stesso quotidiano fiammingo DM, di ispirazione socialista, ci mette del suo: occorre recuperare il divario tra esistente tra la realtà dove l’eutanasia sui minori è praticata, anche se non frequente, e il quadro giuridico che ancora non la consente. Un ragionamento aberrante: la legge vieta una cosa, ma siccome a volte qualcuno trasgredisce la legge… cambiamo la legge! I commenti dei lettori si schierano all’opposto. Un lettore ha commentato esterrefatto: un bambino a dieci anni non è libero, giustamente, di bere una birra, ma sarebbe libero di scegliere se vivere o morire? Un altro, disgustato, non esita a parlare di “assassini nichilisti”. Particolarmente sensibili i lettori tedeschi che non hanno mancato di evocare il paragone con l’ideologia nazista.

Ovviamente con quali criteri dovrebbe avvenire l’apertura all’eutanasia infantile rimane un enigma: a chi spetta la decisione? Al minore, al genitore, al giudice? E se il bambino non volesse morire? E con quali vincoli per il personale medico? In realtà tutti gli interrogativi posti dall’eutanasia ci lasciano il sapore amaro prima ancora di saperne le risposte. Ci bastano le domande per scoprire da una parte il freddo cinismo del calcolo materiale dall’altro l’ombra dell’ideologia che offusca il valore della dignità umana. Anche oggi, in Belgio, come nel resto del mondo, “la prima sfida è quella della vita”.


(Giovani Prolife/Giovanna Sedda)
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