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Giornata mondiale Tolleranza Zero per le mutilazioni genitali femminili.

Un’occasione in più per ricordare che siamo dalla parte della donna, sempre.

Oggi si celebra la Giornata contro le mutilazioni genitali femminili. Come volontari prolife siamo da sempre schierati a difesa della dignità della donna e per la tutela della maternità. Per questa ragione sposiamo l’invito alla sensibilizzazione e alla denuncia di contro questa forma di violenza. Speriamo che i riultati raggiunti nella prevenzione di questo crimine siano uguagliati anche nel contrasto ad altre forme di violenza contro le donne: prima fra tutte il ricorso all’aborto selettivo.

Per l’UNICRI, l’istituto della Nazioni Unite su Giustizia e Criminalità “il termine “mutilazioni genitali femminili” indica una delle violazioni più diffuse e sistematiche dei diritti umani: si tratta di interventi eseguiti non per ragioni terapeutiche, che comportano la rimozione totale o parziale degli organi genitali femminili. Oltre a un fortissimo dolore, le MGF sono causa di prolungate emorragie, infezioni, infertilità o addirittura morte”.

Alla base di questa tradizione disumana ci sono cinque ordini di ragioni: ragioni sessuali (soggiogare o ridurre la sessualità femminile); ragioni sociologiche (iniziazione delle adolescenti all'età adulta, integrazione sociale delle giovani, mantenimento della coesione nella comunità); ragioni igieniche ed estetiche (in alcune culture, i genitali femminili sono considerati portatori di infezioni e osceni); ragioni sanitarie (si pensa a volte che la mutilazione favorisca la fertilità della donna e la sopravvivenza del bambino); ragioni religiose (molti credono che questa pratica sia prevista da testi religiosi come il Corano).

Le donne che hanno subito mutilazioni genitali femminili (fmg) sono più di 100 milioni nel mondo, secondo una stima dell'Organizzazione mondiale della Sanità. Al tema è dedicata una dichiarazione congiunta delle Agenzie ONU del 2008. Recentemente l’adozione della Risoluzione per un “Bando universale delle mutilazioni genitali femminili” da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha rappresentato un passo ulteriore nella giusta direzione. Molte le  campagne di contrasto nel mondo: per esempio in Etiopia i leader della Chiesa Ortodossa hanno iniziato una campagna di sensibilizzazione oltre a programmi di formazione per le vittime, altre iniziative simili sono in corso in Tanzania.

Giovani prolife

Il sito dell’agenzia ONU per le donne, UNWomen:

65 anni fa la Convenzione ONU: aborto crimine contro l'umanità

Il documento ONU del 1948 dice che le "misure miranti a impedire le nascite" sono una forma di genocidio. Eppure Nazioni Unite e ONG continuano a diffondere aborto e sterilizzazione.


Quello che non molti sanno è invece che proprio la  “Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio” adottata dall’ONU nel ‘48 considera gli impedimenti alla nascita di nuovi individui in un gruppo una delle manifestazioni del genocidio. Questo significa che l’aborto è un elemento della definizione stessa del crimine di genocidio: un legame giuridico inscindibile.

L’art. 2 ci ricorda che “nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: (a) uccisione di membri del gruppo; (b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; (c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; (d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo; (e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.

L’art. 2 pone una pesante questione giuridica non solo sulla pratica dell’aborto ma anche delle sterilizzazioni che oltre a impedire le nascite rappresentano una lesione dell’integrità fisica. La domanda a questo punto sorge legittima: com’è possibile che aborto e sterilizzazione siano considerati strumenti di violenza costitutivi del reato di genocidio e al tempo stesso le Nazioni Unite rilascino il proprio consenso, e le proprie risorse, a ONG e conferenze regionali che promuovono aborto e sterilizzazione come strumenti di sviluppo?

Cosa rispondere a questa domanda alla luce dell'art. 3 che afferma che ad essere puniti oltre al genocidio sono anche "(b) l'intesa mirante a commettere genocidio; (c) l'incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio; (d) il tentativo di genocidio; (e) la complicità nel genocidio". C'è un corto circuito palese tra la Convenzione del '48 e le recenti scelte dell'ONU dettate forse più dalle pressioni di lobby e sponsor che dal diritto internazionale.

Cosa risponderemo ai leader dei paesi che oggi stanno faticosamente cercando la strada per il proprio sviluppo? Cosa risponderemo di fronte alla storia quando ci chiederanno perché le sovvenzioni internazionali per la diffusione dell'aborto e della sterilizzazione erano mirate a impedire le nascite solo in un preciso gruppo, cioè quello dei poveri e degli ultimi del mondo? Diamoci da fare per cambiare le risposte di oggi e costruire un domani all'insegna dell'autentica promozione della vita e della pace.
(TE/Giovani Prolife)

Nazioni Unite: Aborto e genocidio sono inscindibili, eppure...

La Convenzione del 1948 dice che le "misure miranti a impedire le nascite" sono una forma di genocidio. Eppure Nazioni Unite e ONG continuano a diffondere aborto e sterilizzazione.


Spesso si è parlato dell’aborto come del Genocidio nascosto. Il giornalista di Antonio Socci parla di “genocidio censurato” nel suo libro omonimo, in cui si denunciano i numeri dell’aborto e il ruolo della politica tanto nazionale tanto internazionale nella sua diffusione.

Quello che non molti sanno è invece che proprio la  “Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio” adottata dall’ONU nel ‘48 considera gli impedimenti alla nascita di nuovi individui in un gruppo una delle manifestazioni del genocidio. Questo significa che l’aborto è un elemento della definizione stessa del crimine di genocidio: un legame giuridico inscindibile.

L’art. 2 ci ricorda che “nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale: (a) uccisione di membri del gruppo; (b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; (c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; (d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo; (e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.

L’art. 2 pone una pesante questione giuridica non solo sulla pratica dell’aborto ma anche delle sterilizzazioni che oltre a impedire le nascite rappresentano una lesione dell’integrità fisica. La domanda a questo punto sorge legittima: com’è possibile che aborto e sterilizzazione siano considerati strumenti di violenza costitutivi del reato di genocidio e al tempo stesso le Nazioni Unite rilascino il proprio consenso, e le proprie risorse, a ONG e conferenze regionali che promuovono aborto e sterilizzazione come strumenti di sviluppo?

Il cortocircuito è stato spesso nascosto dietro il criterio della scelta: se impieghiamo aborto e sterilizzazione su un gruppo preciso è genocidio, se li affidiamo alla libera scelta dell’individuo, cosa che spesso neanche avviene come raccontano numerose testimonianze, possiamo addirittura sovvenzionare le ONG che li diffondono. Ma diffondere l’aborto e sterilizzazione in preciso paese, in una precisa area abitata,  in un preciso gruppo etnico o sociale fa cadere miseramente il criterio della scelta. Si  svela così la profonda incoerenza delle scelte ONU e di molte ONG.

(TE/Giovani Prolife)


L’ONU spinge l’America Latina verso l’aborto.

L’allarme viene dal Parliamentary Network for Critical Issues (PNCI).

L’associazione, senza orientamento politico, che lavora per identificare, unire e coordinare gruppi prolife, legislatori e comunità religiose per far progredire il rispetto della vita in ambito politico e legislativo. Il network riferisce la forte opposizione alla coalizione dei Paesi con normative prolife nei recenti meeting delle Nazioni Unite. L’opposizione è guidata dai gruppi radicali estremisti che lavorano per la diffusione dell’aborto nel mondo.

L’ultimo caso durante la Conferenza Regionale sulla popolazione e lo sviluppo dell’America Latina e dei Caraibi, tenutasi in Uruguay. Le dichiarazioni finali della conferenza infatti chiedono la riduzione delle normative prolife, specie in materia di accesso all’aborto per le adolescenti. Tutto questo da inserire addirittura nei nuovi obiettivi di sviluppo post 2014.

Alla conferenza hanno preso parte infatti anche alcune ONG dichiaratamente abortiste e che proprio nei giorni precedenti alla conferenza si sono riunite in un agguerrito forum di coordinamento. Così il documento finale, il “Montevideo Consensus on population and Development”, si pronuncia esplicitamente a favore dell’aborto.

Ancora una volta ciò avviene sotto le consuete moine propagandistiche della “prevenzione dell’aborto clandestino” e della “contraccezione d’emergenza”, ma altro non è che un avvaloramento dell’aborto sic et sempliciter. L’equazione sbagliata secondo cui l’aborto legale incrementa la salute delle donne è stata assunta senza tener conto dei dati reali, che mostrano per esempio, come il Cile -paese in cui vige ancora una normativa prolife- sia il paese con il minore tasso di mortalità materna dell’America Latina.


Non solo, la conferenza ritiene necessario un intervento per la rimozione delle barriere poste dalle “comunità religiose” per poter fare progressi nella direzione – abortista- indicata. Il tutto è ovviamente condito dalla consueta propaganda che vede in ciò una forma di promozione dei diritti umani. Tuttavia, come sottolinea il PNCI, quanto proposto a Montevideo, come in tante altre occasioni,  è in palese violazione dell’American Convention on Human Rigths. 

(Giovani Prolife / TE)

Per saperne di più: http://www.pncius.org/ 

Interessanti... lacune


L'opera di Eglantyne Jebb e le lacune della dichiarazione dei diritti del fanciullo  


Questa signora qui raffigurata, che pare una nobildonna inglese di inizio secolo, è in effetti una madama inglese di inizio secolo. 
Si chiamava Eglantyne  Jebb ed era nata nello Shropshire (tanto caro al romanziere Forster) nel 1876 e fu ben presto caratterizzata da quello spirito filantropico molto diffuso in quel tempo in Inghilterra. Creò degli enti di carità di respiro internazionale, in particolar modo rivolti ai bambini. Per esempio ai bambini tedeschi e austriaci nel 1919, anno di fine della guerra che Germania e Austria avevano perso, e che l'Inghilterra aveva vinto. 
Il suo prodigarsi per bambini rimase a lungo. 

Perfino la Disney trovò doveroso farle un ideale omaggio: il personaggio protagonista del film "pomi d'ottone e manici di scopa", del 1971, si chiamava infatti Eglantyne Price. Ricordate? 
E ricorderete che il riferimento è calzante: Eglantyne Price salva i bambini dai bombardamenti di Londra. E cerca finanche un modo di porre fine alla guerra! 


Ma il capolavoro di Eglantyne Jebb fu nel 1923, quando riuscì a far approvare dalla Società delle Nazioni la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, detta anche dichiarazione di Ginevra. 
Questa dichiarazione, composta di pochi punti, ebbe un enorme effetto. 

Tanto che le nazioni unite nel 1959 vollero rinnovare e ampliare la visione di Eglantyne Jebb (che era morta nel 1928) creando la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, a sua volta rinnovata 30 anni dopo. 
E' appunto la versione del 1989 che leggiamo oggi. 

In essa possiamo apprezzare molti aspetti positivi: in particolare riguardo all'istruzione, allo stato di emergenza e alle calamità, alle discriminazioni. Apprezziamo particolarmente il riferimento alla "dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili". 

Ma noi prolife maliziosi non possiamo non ricercare un aspetto. 
Cosa è, per questa dichiarazione dei diritti del Fanciullo redatta delle Nazioni unite, un "bambino"? 
Una definizione non di poco conto, dal momento che una dichiarazione come questa impegna gli stati firmatari (tra cui ovviamente l'Italia) a legiferare senza discostarsene. 

Frugando tra gli articoli scopriamo una cosa molto molto interessante. Ecco la definizione di fanciullo che ne dà la Convenzione:

Articolo 1 

Ai sensi della presente Convenzione s'intende per fanciullo ogni essere umano in età inferiore ai diciotto anni, a meno che secondo le leggi del suo Stato, sia divenuto prima maggiorenne. 

Due elementi non possono non colpire. 
Anzitutto non si utilizza il termine "persona". Non si cerca cioè un termine socio-giuridico che rinvii ad una ulteriore definizione, fornito appunto o dal riconoscimento sociale o dal diritto. 
Ci si basa invece su un dato fisiologico: ESSERE UMANO. 
La persona infatti è una definizione giuridica. E' un essere umano "incoronato" dalla legge, perché a quell'essere umano riconosce diritti e tutele. 
Tutte le persone sono esseri umani (in alcuni paesi anche gli animali lo saranno presto); non tutti gli esseri umani sono persone. 
Gli embrioni infatti non sono così fortunati: non vengono genericamente "incoronati" dalla legge, che non li tutela se non in via mediata (lasciando da parte per un attimo il complesso discorso legato alla legge 40). 

Ma la dichiarazione dell'89 va oltre queste definizioni: parla non di persona ma di essere umano. Bypassa completamente il discorso del riconoscimento o meno dello status di persona. 
E non finisce qui! 

La legge, come dice sempre uno dei miei maestri, è più interessante per quello che non dice che per quello che dice. 
Infatti questo articolo non dice a partire da quando si è fanciulli,  e quindi meritevoli di ogni tutela. Fornisce solo il termine ultimo: 18 anni. In termini giuridici si dice che indica il dies ad quem, ma non il dies a quo

Una lacuna del genere, dopo fiumi di carta sprecati per dire che l'embrione non è vita umana, non è di poco conto. Vuol dire che la dichiarazione non condivide la visione discriminatoria degli ordinamenti, che si inventano il termine "persona" e, esattamente come era nell'antica Roma con il termine "cittadino romano", si permetteva di riservare la tutela a chi, e solo a chi, poteva fregiarsi di questo appellativo. 

Pertanto possiamo concludere che, ai sensi di questa definizione, non sarebbe errato definire l'embrione un bambino e in quanto tale tutelato da questa dichiarazione, che è impegnativa per gli stati firmatari.

Vuol dire quindi che la dichiarazione dei diritti del fanciullo, sotto sotto, è prolife? 
Non ci spingiamo a ipotizzarlo. Ma di certo non si accoda alle visioni pro-choice, che si permettono di dire chi è "in" e chi è "out" per null'altro motivo che un calcolo personale. 
Di certo, segue la strada originaria di Eglantyne Jebb: aiutare i bambini, tutti, sempre, e tanto più quando sono più bisognosi di aiuto.
Perché se si fanno discriminazioni, che razza di filantropia è? 


Difesa della vita: impegno di civiltà

A ricordarlo mons. Tomasi, Nunzio della Santa Sede presso le Nazioni Unite: " la strada della vita è un bene per tutto il mondo". Anche se da più parti arriva l'allarme per le posizioni abortiste prese sotto l'egida dell'ONU.


Il Parliamentary Network for Critical Issues (PNCI), associazione che lavora per identificare, unire e coordinare gruppi prolife a livello internazionale, ha recentemente lanciato l’allarme per il pressing delle ONG abortiste sulle conferenze ONU (ne abbiamo parlato qui: america-latina).

La strategia adottata dalla lobby internazionale si basa su tre passaggi. Il primo è l’individuazione delle conferenze regionali o settoriali da cui vengono emanate dichiarazioni di indirizzo politico. A questo punto viene fissato un coordinamento nei giorni precedenti per richiamare tutti all’azione coesa, spesso sotto la finta bandiera della libertà riproduttiva.

Infine prendere parte ai lavori targati ONU indirizzando le dichiarazioni finali verso il sostegno e la promozione dell’aborto, specie nei Paesi in via di sviluppo o in rapida crescita economica. Questo è possibile sia grazie alla forza semplicemente numerica, PNCI parla di oltre cento ONG schierate, sia attraverso gli enormi mezzi economici messi a disposizione delle ONG da parte delle lobby abortiste.

L’allarme è stato ripreso anche da S. E. Mons. Mons. Silvano Tomasi, nunzio apostolico presso l'ONU durante la sua visita allo stand del Movimento per la Vita al Meeting 2013 (padiglione A1). Il Nunzio ha ricordato come la sua esperienza: “è legata al contesto della Nazioni Unite dove alle volte si vogliono cercare scorciatoie per risolvere i problemi eliminando le persone. Tuttavia vediamo che per questa strada in realtà i problemi si moltiplicano e al contempo si perdono vite umane”.

Mons. Tomasi ha poi aggiunto: “La lotta, lo sforzo che viene attuato per sostenere la vita in tute le sue forme e situazioni è un impegno di grande civiltà e di grande “compromesso”, nel senso americano di “compromise”. Ma lo sguardo del Nunzio Apostolico è rivolto anche all’Europa e all’iniziativa Uno di noi: “la demografia dell’Europa sta cambiando appunto perché manca il rispetto della vita nel contesto legale dei Paesi dell’Unione e perché senza nuove vite cambia non solo la cultura e l’economia ma anche la religione di una regione del mondo”.

Lasciando lo stand mons. Tommasi ha sottoscritto l’iniziativa europea “Uno di noi” e ha dato la sua benedizione hai volontari: “vi faccio tanti auguri perché possiate sempre continuare a camminare sulla strada della vita che è un bene per tutto il mondo”.

(giovani Prolife/TE)
 
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