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5/5 Speciale Natale. La speranza e il mistero del male.

Tante volte chi difende la vita si imbatte nel dolore e nel male generati dal dramma dell’aborto. 


Una ferita sul volto dell’umanità che incomprensibilmente colpisce gli innocenti e ci lascia spesso storditi. Esattamente come, dopo il Natale, ricordiamo la strage dei bambini ordinata dal Re Erode e restiamo confusi. Il Natale non doveva portare la pace sulla terra? Perché tanto dolore, oggi come nel passato?

Ci aiuta a trovare una risposta la riflessione di Edith Stein: “Già all’indomani del Natale la Chiesa depone i paramenti bianchi della festa e indossa il colore del sangue: Stefano, il protomartire, che seguì per primo il Signore nella morte, e i bambini innocenti, i lattanti di Betlemme e della Giudea, che furono ferocemente massacrati dalle rozze mani dei carnefici. Che significa questo? Dov’è ora il giubilo delle schiere celesti, dov’è la beatitudine silente della notte santa? Dov’è la pace in terra? "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Ma non tutti sono di buona volontà. Per questo il Figlio dell’eterno Padre dovette scendere dalla gloria del cielo, perché il mistero dell’iniquità aveva avvolto la terra.”

Ma non tutti gli uomini hanno accolto la luce di Dio. Edith Stein ci dice che: “Il mistero dell’incarnazione e il mistero del male sono strettamente uniti. Alla luce, che è discesa dal cielo, si oppone tanto più cupa e inquietante la notte del peccato. Il Bambino protende nella mangiatoia le piccole mani, e il suo sorriso sembra già dire quanto più tardi, divenuto adulto, le sue labbra diranno: ‘Venite a me voi tutti che siete stanchi e affaticati’.”

Ognuno può scegliere di rispondere al male con il bene, che è in ultimo rispondere all’invito di Gesù, fattosi figlio, concepito, neonato, bambino:  “Di fronte al Bambino nella mangiatoia gli spiriti si dividono. Egli è il Re dei re e il Signore della Vita e della morte, pronuncia il suo "Seguimi", e chi non è per lui è contro di lui. Egli lo pronuncia anche per noi e ci pone di fronte alla decisione di scegliere fra luce e tenebre.” Il mistero del male che circonda l’umanità non si dissolve, ma ognuno può scegliere nella sua vita di accogliere la luce e spingere le tenebre più in là.

TEP.


I testi di Edith Stein sono tratti da: Das Weihnachtsgeimmis. Menschwerdung und Menschheit. Traduzione Italiana: : Il mistero del Natale. Incarnazione e umanità. Ed. Queriniana. 1989. Brescia.

4/5 Speciale Natale. Noi sappiamo una cosa sola.

Il Natale ci insegna sull’esempio di Dio a ridurci, a farci piccoli, a non temere di essere esposti al freddo, alla notte, al domani.


 Edith Stein  indica questi tre segni della condizione di figli di Dio: essere una cosa sola con Dio, riconoscere che tutti sono una cosa sola in Dio e fare la sua volontà. Dedichiamo questa riflessione ad approfondire questi segni attraverso lo sguardo sul figlio concepito. Il Figlio di Dio, la sua incarnazione è ci mostra il punto di partenza della nostra via, la verità che ci conduce alla vita. Al centro di questa verità rivelata c’è la sacralità della vita: “Il Creatore del genere umano ci conferisce, assumendo un corpo, la sua divinità. Per quest’opera mirabile il Redentore è infatti venuto nel mondo. Dio è diventato un figlio degli uomini, affinché gli uomini potessero diventare figli di Dio”.

Idealmente Edith Stein risponde alla nostra domanda su cos’è quest’incontro con il Dio della Vita? “La vita divina, che viene accesa nell’anima, è la luce che è venuta nelle tenebre, il miracolo della notte santa. Chi la porta in sé capisce quando se ne parla. Invece per gli altri tutto quel che possiamo dire al riguardo è solo un balbettio incomprensibile. Tutto il vangelo di Giovanni è un balbettio del genere a proposito della luce eterna, che è amore e vita. Dio in noi e noi in lui, questa è la nostra partecipazione al regno di Dio, che ha nell’incarnazione la sua base”.

Il Mistero del Natale, del dio fattosi “Uno di noi” oltre a consacrare la vita di ciascun essere umano, ha trasformato l’umanità in una unica famiglia. Nel Natale Gesù “è divenuto uno di noi, anzi di più ancora, perché è divenuto una cosa sola con noi.  Questa è infatti la cosa meravigliosa del genere umano, il fatto che siamo tutti una cosa sola”.

Da questo inizio possiamo intraprendere il percorso per tornare figli. Come il figlio concepito vive nella condizione totale di dipendenza, così noi dobbiamo imparare a tornare come bambini, esattamente come figli. Di quello che Dio ha in serbo per i nostri giorni non sappiamo nulla. Anzi dice Edith Stein “Una cosa sola sappiamo, e cioè che a quanti amano il Signore tutte le cose ridondano in bene”.  Da qui scaturisce l’invito a fidarsi in modo completo all’amore: “Se mettiamo le nostre mani nelle mani del Bambino divino e rispondiamo con un “sì” al suo “Seguimi”, allora siamo suoi, e libera è la via perché la sua vita divina possa riversarsi in noi”.

Buon Natale a tutti!

TEP.


I testi di Edith Stein sono tratti da: Das Weihnachtsgeimmis. Menschwerdung und Menschheit. Traduzione Italiana: : Il mistero del Natale. Incarnazione e umanità. Ed. Queriniana. 1989. Brescia.

3/5Speciale Natale. Il concepito e la misura dell’amore.

La parola Natale e la parola Amore sono nella fede cristiana profondamente legate tra loro. 


Nel farsi uomo Gesù manifesta all’umanità l’amore di Dio. In una parola ci ricorda che siamo AMATI. Guardare il Figlio di Dio concepito ci permette di riconoscere e vivere il nostro stesso essere figli amati di Dio. La “figliolanza divina”, l’esistenza fatta d’amore,  ha secondo Edith Stein questi tre segni: essere una cosa sola con Dio, riconoscere che tutti sono una cosa sola in Dio e fare la sua volontà.

Scoprirci amati e corrispondere questo amore ci porta ad essere una cosa sola con Dio. Questa unione però non può fermarsi a uno stato di meditazione continua senza effetti. Al contrario dovrebbe portare a un risultato immediato, il secondo segno descritto da Edith Stein: “Se Dio è in noi e se egli è amore, allora non possiamo che amare i fratelli. Per questo il nostro amore del prossimo è la misura del nostro amore di Dio. Ma si tratta di un amore diverso dall’amore naturale” . Infatti il nostro amore per gli altri conosce è fatto di simpatie, amicizie legami, e la maggioranza dell’umanità per quanto prossima rimane estranea.

Il volontariato al servizio della vita ci chiama invece a farci prossimi di chiunque. L’amore per la vita è un riflesso geometrico dell’amore cristiano in cui “non esiste alcun “estraneo”. Nostro “prossimo” è chi sta via via davanti a noi e ha più bisogno di noi, sia egli o meno nostro parente, ci “piaccia” o no, sia “moralmente degno” o meno del nostro aiuto. L’amore di Cristo non conosce confini, non viene mai meno, non si ritrae di fronte all’abbiezione morale e fisica”.

Il terzo segno dell’adesione alla condizione filiale è quanto mai aderente alla condizione del figlio concepito che tanto strenuamente difendiamo. Il concepito è nella condizione della totale dipendenza.  Il figlio concepito è cioè l’immagine estrema dell’infanzia spirituale. Domandiamoci allora se anche noi sappiamo essere figli capaci di abbandonarsi alla totale dipendenza da Dio. Figli capaci di aderire alla Sua volontà d’amore, capaci cioè di “riportare nelle sue mani ogni preoccupazione e speranza”.

TEP.


I testi di Edith Stein sono tratti da: Das Weihnachtsgeimmis. Menschwerdung und Menschheit. Traduzione Italiana: : Il mistero del Natale. Incarnazione e umanità. Ed. Queriniana. 1989. Brescia.

2/5 Speciale Natale. La festa della vita.

Il Natale, è una festa più universale di quanto vorrebbero farci credere. 


La pretesa che i simboli natalizi offendano altri fedeli è presto smentita da tanti luoghi di missione dove credenti di altre religioni si uniscono ai festeggiamenti cristiani. Questo perché la gioia di una nascita e la speranza della pace portata dal Natale sono elementi antropologici universali che superano le differenze culturali.

Per Edith Stein il Natale “emana un fascino misterioso, cui ben difficilmente un cuore può sottrarsi. Anche coloro che professano un’altra fede e i non credenti, cui l’antico racconto del Bambino di Betlemme non dice alcunché, preparano la festa e cercano di irradiare qua e là un raggio di gioia. Già settimane e mesi prima un caldo flusso di amore inonda tutta la terra. Una festa dell’amore e della gioia, questa è la stella verso cui tutti accorrono nei primi mesi invernali”.  In questo senso il Natale è una festa universale perché racchiude la speranza di riconciliazione di tutti gli uomini.

Ma per il cristiano “è anche qualcos’altro. La stella lo guida alla mangiatoia col Bambinello, che porta la pace in terra [...]Sì, quando la sera gli alberi di Natale luccicano e ci si scambiano i doni, una nostalgia inappagata continua a tormentarci e a spingerci verso un’altra luce splendente, fintanto che le campane della messa di mezzanotte suonano e il miracolo della notte santa si rinnova su altari inondati di luci e di fiori : ‘E il Verbo si fece carne’. Allora è il momento in cui la nostra speranza si sente beatamente appagata.”

TEP.

I testi di Edith Stein sono tratti da: Das Weihnachtsgeimmis. Menschwerdung und Menschheit. Traduzione Italiana: : Il mistero del Natale. Incarnazione e umanità. Ed. Queriniana. 1989. Brescia.

1/5 Speciale Natale. Il concepito inizio della salvezza.

Una riflessione a tappe verso il Natale e oltre per recuperare la sacralità della vita attraverso le parole di Edith Stein. Un piccolo percorso per quanti amano e difendono la vita sin dal concepimento.


La prima riflessione serve a portarci ai giorni, ai mesi, che hanno preceduto la nascita di Gesù. A guidarci in questa ricerca, e nelle prossime riflessioni, è un testo postumo di Edith Stein, suor Teresa Benedetta della Croce, morta ad Auschwitz il 9 agosto 1942 sul “Mistero del Natale”.

Edith Stein ci aiuta a riconoscere il punto d’inizio della salvezza cristiana: “Il regno di Dio cominciò sulla terra quando la Vergine santissima pronunciò il suo fiat, ed ella ne fu la prima serva. E quanti prima e dopo la nascita del Bambino professarono la loro fede in lui con le parole e le azioni – San Giuseppe, Santa Elisabetta, suo figlio e tutti coloro che circondavano la mangiatoia – entrarono similmente in esso”.

L’incarnazione avviene infatti nel grembo materno di Maria, Gesù si è fatto uomo, facendosi figlio concepito. È proprio dal Sì alla vita di Maria di Nazareth ha inizio la storia della salvezza. Il Vangelo sottolinea l’azione di Gesù prima ancora della nascita nell’episodio della Visitazione. La visita di Maria ad Elisabetta, descritta da Benedetto XVI come la prima processione eucaristica della storia, ci mostra tutta la forza e la tenerezza dell’azione di Dio sin dal grembo materno. La presenza integrale di Gesù nel grembo di Maria realizza una speciale comunicazione e a percepirla è proprio l’altro figlio concepito nel grembo di Elisabetta.

TEP.

I testi di Edith Stein sono tratti da: Das Weihnachtsgeimmis. Menschwerdung und Menschheit. Traduzione Italiana: : Il mistero del Natale. Incarnazione e umanità. Ed. Queiniana. 1989. Brescia.

Francesco d'Assisi: il Santo della vita nascente.

Nella rappresentazione della natività riscopriamo il valore della maternità e la dignità della vita nascente.

Francesco d’Assisi è universalmente considerato il poeta del creato. Il suo Cantico delle creature, composto probabilmente negli anni venti del 1200, è considerato tra i primi prodigiosi passi della poesia italiana anche da quanti sono estranei al credo cattolico. Ma è stato anche il grande contemplatore della maternità. Negli stessi anni in cui vedeva la luce il Cantico di frate Sole, Francesco è stato non solo il cantore della creazione ma anche dell’incarnazione: nel 1223 Francesco da vita al primo presepe della Cristianità.

Nella notte di Natale il Santo predispone una raffigurazione vivente della natività, secondo quanto ci scrive Tommaso da Celano nella sua biografia del Santo. La creazione viene esaltata per mezzo del canto di lode e passa attraverso la mediazione del linguaggio poetico. Al contrario la generazione, il mistero dell’incarnazione, viene lasciato alla meditazione personale, alla contemplazione diretta della scena della natività. Nello sguardo di stupore, si compone un silenzioso poema francescano composto dal solo nome di Gesù. Tommaso da Celano riporta così l’evento: “fu talmente commosso nel nominare Gesù Cristo, che le sue labbra tremavano, i suoi occhi piangevano e, per non tradire troppo la sua commozione, ogni volta che doveva nominarlo, lo chiamava il Fanciullo di Betlemme”.

Come ha sottolineato lo storico Jacques Le Goff (Francesco d’Assisi, Laterza, 2006) in un'epoca, quella degli anni tra il 1100 e il 1300, dominata dalla scolastica e dalla marginalità della figura femminile, oltre che dell’infanzia, Francesco non esita a mettersi in umile venerazione della donna e del bambino e a invitare tutti i contemporanei, e non solo, a fare lo stesso: Francesco è in questo pienamente evangelico.

Pienamente evangelico almeno per quattro ragioni... Anzitutto perchè recupera la dignità della donna e il principio di uguaglianza insito nella rivelazione cristiana. Non solo se guardiamo l’epoca in cui vive il poverello di Francesco, riconosciamo nell’episodio di Greccio una conferma dell’attenzione per gli ultimi e gli emarginati dalla vita sociale. Evangelico perché l’immediatezza comunicativa della raffigurazione vivente della natività, ci richiama alla semplicità e all’immediatezza del messaggio cristiano. Infine perchè la natività ci ricorda la dimensione umana dell’incarnazione, quella corporeità che Francesco vivrà in maniera totale attraverso le stimmate.

Francesco pone così sul piedistallo della storia l’incarnazione del “Figlio prediletto” e con essa la tutta la tenerezza della maternità. Così facendo ci ricorda che il “Vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù” e la sua gioia dirompente ci conferma che “nel Natale è svelato anche il senso pieno di ogni nascita umana, e la gioia messianica appare così fondamento e compimento della gioia per ogni bimbo che nasce” (Evangelium Vitae, § 1).

(TE)

Il mistero di Maria

Ogni sì alla vita concepita diffonde nel mondo la gioia del Magnificat.

Chi crede sa di essere immerso nel mistero della propria fragilità e nel mistero dell'incarnazione, del concepimento di Gesù. La Vita infatti, che era presso Dio ed era Dio, è venuta in mezzo a noi per essere uno di noi. 


Coloro che credono sono consapevoli di vivere un mistero, anzi un doppio mistero. Anzitutto conoscono il mistero della propria fragilità, del proprio peccato. Il mistero del fango di cui siamo fatti. Non è offensiva questa parola, se solo pensiamo al baratro morale in cui è capace di sprofondare l’uomo e all’abisso della malvagità omicida di cui giorno per giorno ci informano i media.

[...] Tale sguardo, tuttavia, non deve essere depresso, ma lieto, pieno di speranza, deve voler essere lo sguardo stesso di Dio, quel Dio di Luce, di Vita e di Amore. Così lo stupore infinitamente doloroso per la miseria umana potrà trasfigurare nello stupore ancora più grande per quella Misericordia divina che rialza il misero dall’immondizia, per farlo sedere fra i principi.

Tutto ciò è incluso nel mistero dell’Annunciazione a Maria, mistero che ci riguarda da protagonisti, poiché quel giorno, nella casetta di Nazaret, c’era ognuno di noi. [...] Il mistero dell’Annunciazione a Maria, infatti, non è solo quello dipinto dall’arte cristiana in innumerevoli capolavori, dal momento che in nessuna di queste
stupende immagini è stato possibile dipingere il concepimento verginale della Vita invisibile.

La Vita infatti, che era presso Dio ed era Dio, è venuta non solamente ad abitare in mezzo a noi, ma ad
essere uno di noi. Ciò è accaduto nell’istante in cui lo Spirito Santo ha operato il concepimento di Gesù nel
grembo di Maria. [...] Nell’Annunciazione, infatti Le è stato chiesto un atto di fede essenziale: l’Angelo che rivela il progetto divino della sua maternità, sollecita il suo consenso.

In ciò la novità è assoluta, perché negli annunci precedenti di una maternità accordata da Dio, il consenso
della madre non era stato mai richiesto: era semplicemente l’annuncio di una buona notizia, che non poteva non suscitare gioia immensa in una donna sterile. Ma qui, Colei che riceve l’annuncio è invitata a dare una risposta personale.

Dio vuole stabilire con l’umanità un’alleanza definitiva e chiede ad una Donna la cooperazione necessaria. Maria è invitata a esprimere l’accoglienza alla Vita del Verbo, ed è tutta l’umanità che in Lei sta per  accogliere la venuta del Salvatore atteso.

Così, ogni sì alla vita concepita, rinnova nel mondo e nella storia l’alleanza di Dio con l’umanità, e diffonde la gioia messianica del Magnificat. L’uomo è una polvere amata, un fango prezioso quanto il sangue di Cristo. Questa la sua eccelsa dignità, il valore incomparabile di ogni vita umana concepita, la ragione della nostra gioia e della nostra forza nel promuoverne sempre l’accoglienza.

Fonte: MpV (vai al link) Autore: padre Angelo Del Favero

Kolbe e la nostra Auschwitz.

La lezione per i giovani prolife di Padre Massimiliano: da Auschwitz la definizione della gioia come “stile dell’aiuto”.

La vita di Massimiliano Kolbe, sacerdote e deportato, è un esempio per i volontari prolife. Padre Kolbe ha sperimentato fino al sacrificio della vita la violenza dell’umanità, eppure nei sui giorni ad Auschwitz non aveva perso la gioia: “poteva essere felice ad Auschwitz, perché la sua felicità era Dio stesso” [1].

Oggi tutti noi ricordiamo Padre Kolbe come il Santo della vita. Per salvare la vita di un suo compagno di sventura aveva chiesto di prenderne il posto nel bunker in cui era stato condannato a morire di fame. In quel bunker il religioso pregava e cantava con gli altri condannati: era il suo modo di aiutarli. La fame non riuscì a togliergli la vita, le SS misero fine alla sua gioia con una iniezione letale.

La definizione della gioia come “stile dell’aiuto” che ci ha lasciato Padre Kolbe con la sua vita non è un caso isolato. Edith Stein, morta anche lei ad Auschwitz, a chi le chiedeva consiglio rispondeva: “Lei potrà aiutare meglio gli altri se si preoccuperà il meno possibile di come farlo e sarà il più possibile semplice e gioiosa” [2].

Sono passati sessant’anni ma le stanze della morte continuano ad esistere. Sono quelle in cui si consumano quotidianamente l’aborto e l’eutanasia: nell’indifferenza generale però c’è chi, oggi come allora, dice no. I prolife di oggi hanno tanto da imparare dalla lezione di Kolbe e Stein. Con quale stile affrontiamo questi tremendi attacchi alla vita?

Tante volte siamo tentati di rispondere all’odio con la rabbia, all’ingiustizia con il giudizio. Eppure Padre Kolbe ci insegna che lo stile di chi difende la vita deve essere quello di chi ama la vita: come in ogni innamoramento autentico il nostro primo sentimento non può che essere la gioia dell’amore.

Proprio come diceva don Tonino Bello “se la fede ci fa essere credenti e la speranza ci fa essere credibili è solo la carità che ci fa essere creduti” [3]. Allora la nostra felicità sarà anche la prova della ragionevolezza delle ragioni della vita.

(TE)
________
[1] Don Jacek Pędziwiatr, 72° Simposio di Oświęcim, 2013.
[2] Edith Stein, La mistica della croce, Scritti spirituali sul senso della vita, traduzione di G. Baptist, Città Nuova, 2000.
[3] Don Tonino Bello, Scrivo a voi, EDB, 2005.
 
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