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"Voglio la mamma", ovvero la politica e la maternità


«Voglio la mamma, il libro che Mario Adinolfi presenta oggi alla Camera è il libro che mancava nel panorama culturale italiano» commenta Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita.

«Il cuore di questo libro è tutto in una frase: “si è di sinistra solo se si sostiene il soggetto più debole”. Una frase che da sola può abbattere un muro di incomprensione che da anni si trascina tra il popolo di sinistra ed il popolo della vita.

«Diceva La Pira a proposito di aborto, diritto alla vita e principio di uguaglianza: “Un gran giorno sarà quello in cui la sinistra deciderà di difendere anche la vita che comincia. Questo determinerà un cambiamento benefico in tutto il mondo”. La Pira era anche un po’ profeta e quindi spero che la sua aspirazione ad un “gran giorno” divenga realtà.

«La pubblicazione di Voglio la mamma» conclude Casini «potrebbe esserne il preludio».

Fonte: Ufficio stampa MPV

La difficoltà di essere donne



Fiocco rosa o fiocco blu: un simbolo per annunciare la gioia di una nuova creatura venuta al mondo. In alcuni paesi, però, quel colore può davvero essere determinante per il futuro dell’individuo. 

La condizione della donna è stata più volte rivalutata nel corso della storia e troppo spesso sottovalutata. Nel Medioevo nacque la così detta ‘misoginia’: letteralmente odio verso le donne; nel Rinascimento la loro posizione venne rivalutata, e iniziarono ad avere un ruolo all’interno della società, per la precisione nell’ambiente delle corti. Nonostante i piccoli passi compiuti per affermare e vedere affermata la dignità femminile, ancora oggi, purtroppo, in alcuni paesi del mondo, soprattutto in Oriente, la donna è considerata inferiore, a volte alla pari di un oggetto. 

Una descrizione efficace della condizione della donna in un paese orientale, in questo caso l’Iran, è il capolavoro di Azar Nafisi, intitolato “Leggere Lolita a Teheran”. Le protagoniste del best- seller sono proprio delle donne, le quali vengono sottoposte a dure restrizioni dal regime di Khomeini, iniziato nel 1979. 

Partiamo allora proprio da alcune situazioni del libro per capire meglio la grande differenza tra il mondo occidentale e orientale, e la fortuna che abbiamo a vivere in questa società.
Nel libro, le ragazze si vedono privare i benefici più semplici e naturali, che oggi si danno per scontati. Un esempio per tutti è che queste donne non conoscono la sensazione che si prova ad avere il vento sulla pelle o tra i capelli perché sono costrette a vivere dietro a una corazza di tessuto, un lungo chador nero che le deve ricoprire interamente: anche solo un capello o un dito del piede scoperto potrebbe attirare l’attenzione maschile. Mentre per noi il vento sulla pelle è una consuetudine e un’abitudine per qualcuno è un privilegio, è una novità che ispira, in quanto nuova e mai provata prima.
Un altro episodio raccontato nel libro narra di una bambina di appena sei anni che si è da poco trasferita dagli Stati Uniti a Teheran e perciò non ha ancora familiarizzato e appreso tutte le norme vigenti. A scuola viene effettuato all’improvviso un controllo delle unghie e le sue sono considerate troppo lunghe dagli ispettori: le vengono tagliate talmente corte da farle sanguinare le dita. Infatti le donne sotto il regime di Khomeini, non potevano usare cosmetici, mettersi lo smalto, potevano camminare per strada solo se accompagnate dal marito, dal padre o dal fratello e dovevano muoversi senza dare nell’occhio, come se non esistessero: in caso contrario venivano lapidate.
Nelle pagine finali, inoltre l’autrice si rende conto che lei è ostile verso il regime perché le ha tolto qualcosa che lei rivuole indietro. La sua è una mancanza, mentre per sua figlia è un’assenza: la piccola infatti non può paragonare le proibizioni di adesso con il gusto della libertà precedente come può fare la madre, avendo conosciuto solo limiti e restrizioni: non correre, non mettersi lo smalto, non sa cosa vuol dire sentire il calore del sole sulla propria pelle.
E' molto efficace la conclusione: il più grande desiderio di Nafisi è che nella Carta dei Diritti dell’ uomo ci sia il diritto all’immaginazione e ognuno possa usufruirne quando più ne necessita. 

Leggendo questo libro, davvero non si può non pensare a quanto può essere difficile essere donne in alcuni Paesi, tenendo conto che il sesso è solo una circostanza casuale, perché nessuno può deciderlo. Inoltre nascosta tra le righe sembra emergere una parola: dignità, nel loro caso, rubata.
La dignità femminile purtroppo non viene riconosciuta in tutti i paesi del mondo: spesso le donne vengono maltrattate, o considerate alla stregua di un oggetto. E spesso chi invece ha la fortuna di avere una dignità, non se ne rende conto e non capisce il privilegio che ha tra le sue mani, discorso che vale soprattutto per le nuove generazioni.
Sono tematiche difficili, e per questo spesso vengono evitate, ma questo peggiora la situazione: qualcuno dovrebbe aprire gli occhi a tutte quelle ragazze che in un secondo perdono la loro dignità, compiendo atti a dir poco vergognosi! A volte, però, si sente nell’aria la domanda ‘Ma cos’è per loro la dignità, se non hanno esitato a perderla? Come fanno ancora ad alzarsi al mattino e a guardarsi allo specchio?’. Risposta: sono persone deboli a cui nessuno ha insegnato il significato e l’importanza della vita e della propria dignità.

(Ilenia Viale/ giovaniprolife)

Quando i radicali erano contro l'eutanasia

Per contrastare l’eutanasia non serve scomodare il Papa: basta citare Giacinto Pannella. Ma sì, proprio lui, Marco, lo storico leader radicale, il grande vecchio del fronte libertario. 

Forse non tutti sanno, infatti, che qualche decennio fa il Nostro non era esattamente dell’idea di oggi e, a proposito della cosiddetta “dolce morte”, dichiarava: «E l’eutanasia per quando?, m’è stato chiesto in un recente dibattito sull’aborto. Deluderò i nemici in agguato e amici impazienti, ma io sono contro. Nessuno ha il diritto di compiere la scelta della morte dell’altro finché in chi soffre e fa soffrire ci sia un barlume o la speranza di un barlume, di volontà o di coscienza» (L’Espresso, 1/2/1975).

Se qualcuno per strada vi chiedesse la firma per l’eutanasia legale, potete dunque rifiutare, se siete pro-life, affermando che la pensate esattamente come il mitico leader dei Radicali. Semmai, potete aggiungere, è Pannella che non la pensa (più) come Pannella. Ma anche su questo, in realtà, meglio andarci piano. Meglio cioè evitare giudizi che escludano a priori la possibilità di un cambiamento in extremis. Perché fino a quando in Pannella ci sarà «un barlume o la speranza di un barlume, di volontà o di coscienza», tutto può ancora succedere. Anche che Pannella torni, almeno sull’eutanasia, a pensarla come la pensava prima. O addirittura che si converta del tutto: che bel finale sarebbe. Mai dire mai, e tante preghiere.

(Giuliano Guzzo)

Il razzismo prenatale

Nascituri immigrati e con la pelle scura corrono un rischio maggiore di non vedere la luce: Come se lo straniero fosse da rispettare una volta partorito, e fino a un momento prima valesse nulla. 

Sono giorni, almeno in Italia, nei quali, dopo inaccettabili offese vibrate contro alte figure istituzionali, è riemerso il bisogno di condannare il razzismo. Quale occasione migliore allora di questa ritrovata attenzione sul tema dell’eguaglianza per tornare a denunciare le manifestazioni del fenomeno – tipico della cultura atea e antitetico, insegna l’indimenticato storico ebreo Poliakov (1910 – 1997), «alla tradizione giudaico-cristiana» [1] – della discriminazione razziale. Di queste, la forma senz’altro più odiosa e violenta – più odiosa perché tragicamente sottovalutata o perfino giustificata, e più violenta perché agita contro esseri umani inermi – oggi è indubbiamente quella del razzismo neonatale, praticato nella modalità dell’aborto volontario.

Aborto che, negli Stati Uniti, si è rivelato il più formidabile metodo di eliminazione di soggetti di colore. Infatti, se già era noto che oltre il 36% delle donne che abortiscono sono nere [2] – benché solo il 12,9% della popolazione sia nera o afroamericana [3] – da rilevazioni più recenti sappiamo che fra il 2007 ed il 2009 il tasso di aborti procurati fra queste donne è purtroppo aumentato del 4%, passando da 481 a 501 aborti ogni 1000 nati vivi. Tutto questo, peraltro, in un contesto di diminuzione del fenomeno del 3% fra le donne bianche, che ha fatto segnare un passaggio da 143 a 138 aborti ogni 1.000 nati [4]. Sono dati oggettivamente allarmanti, che vanno nella direzione di una vera e propria decimazione della gente di colore.


Pur riconoscendo il fenomeno, si potrebbe ribattere che esso deriva da cause esterne – per esempio di carattere materiale, come la povertà delle gestanti – e non corrisponde ad un progetto di eliminazione razziale. D’accordo, ma questo nulla toglie alla gravità di quanto accade, anzi, semmai la accresce dato che, in assenza di pianificazioni, la sensazione è che il problema non sussista quando invece è tragicamente reale nella veste di un razzismo invisibile ma continuo, che non abbisogna di rivendicazioni perché può già contare sull’indifferenza: ai bimbi di colore, nonostante la Presidenza di Barack Obama – il quale ha fatto della sponsorizzazione dell’aborto, da subito [5], una priorità programmatica -, è così reso sempre più difficile venire al mondo e molti non vi fanno caso.

Un aspetto sorprendente, anche perché non si sta parlando di una realtà isolata o solo statunitense: nella civile Gran Bretagna, dove la popolazione di colore è del 3,3% [6], le donne non bianche che abortiscono costituiscono il 9% del totale [7] e anche in Italia è ragionevole aspettarsi che accada lo stesso dal momento che, negli anni, le donne straniere ricorse all’aborto volontario sono aumentate in modo vertiginoso (furono 10.131 nel 1996, sono state 38.309 nel 2009) e che – recita la relazione ministeriale – «nonostante la diminuzione negli anni» del fenomeno abortivo le donne immigrate fanno ancora registrare «livelli di abortività molto più elevati delle italiane» [8]. Anche qui, dunque, un bambino straniero ha molte meno probabilità di nascere.

Beninteso: l’aborto procurato, in quanto tale, rappresenta già un atto di somma ingiustizia e sarebbe inconcepibile redigerne graduatorie di gravità. Ciò detto, è innegabile come nascituri immigrati e con la pelle scura – al pari di quelli affetti da trisomia 21, dalla sindrome di Turner e talvolta quelli di sesso femminile - corrano, rispetto ad altri, un rischio decisamente maggiore di non vedere la luce. Eppure parecchi sembrano non accorgersene e spesso, guarda caso, trattasi degli stessi favorevoli allo ius soli, pronti cioè a riconoscere la cittadinanza italiana ai migranti per il solo fatto di essere nati qui. Peccato che a questa sollecitudine per riconoscere l’immigrato come cittadino non ne corrisponda altrettanta, prima dei nove mesi di vita, per riconoscerlo essere umano.

Non sarà razzismo fiero e consapevole, ma è pur sempre un atteggiamento di colpevole miopia, che non vede, o si rifiuta di vedere, come la prima discriminazione – prima in ordine cronologico e per gravità morale – che subiscono anche in Italia coloro che italiani non sono consiste nella più alta probabilità di non nascere, di essere eliminati nel ventre materno. E meraviglia che i tanti paladini del rispetto, amanti dell’igiene lessicale e pronti a stracciarsi le vesti per offese verbali, sorvolino su questa tragedia che i dati rilevano in modo infinitamente più evidente di altre discriminazioni, vere e presunte. Come se lo straniero fosse da rispettare una volta partorito, e fino a un momento prima valesse nulla; come se le pari opportunità fossero un’emergenza per il diritto al lavoro, ma non per il diritto alla vita; come se non fossero i bambini non nati, coloro che non possono difendersi, i più poveri fra i poveri.


Note: [1] Poliakov P. Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, p. 371; [2] Cfr. Pazol K. –Gamble S.B. – Parker W.Y. – Cook. D.A. – Zane S. B. – Hamdan S. (2009)Abortion Surveillance. United States, 2006. «National Center for Chronic Disease Prevention and Health Promotion»; 58(SS08);1-35; [3] Cfr. State & County QuickFacts, «U.S.Census Bureau»:quickfacts.census.gov/qfd/states/00000.html; [4] Cfr. Pazol K. – Creanga A.A. – Zane S.B. – Burley K.D. – Jamieson D.J. (2012) Abortion Surveillance. United States, 2009. «National Center for Chronic Disease Prevention and Health Promotion»;61(SS08);1-44; [5] Cfr. Obama sblocca i fondi per aborto e staminali, 24/1/2009: salute.aduc.it; [6] Cfr. Ethnicity and National Identity in England and Wales 2011. «Office for National Statistics», 2/2/2013; [7] Cfr. AA.VV. (2012) Abortion Statistics, England and Wales: 2011. «Department of Health»; 1-44:16; [8] AA.VV. Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza, 8/10/2012; 1-42:3.


Giuliano Guzzo

Fonte: http://giulianoguzzo.wordpress.com

Che c'entra Mandela con l'eutanasia?



















Strani avvoltoi pro-choice svolazzano attorno al capezzale di Nelson Mandela

La salute di Mandela ha avuto ultimamente un tracollo, suscitando le preghiere di molti davanti al suo ospedale. E l'agenzia di stampa Afp (agence france presse) ha "rivelato un documento legale" a firma di un certo avvocato David Smith.

Il contenuto é il seguente: Nelson Mandela é in stato vegetativo permanente, tenuto in vita dalle macchine.
"I medici hanno consigliato alla famiglia Mandela di staccare la macchina che lo mantiene artificialmente in vita. Piuttosto che prolungare le sue sofferenze, la famiglia Mandela valuta questa opzione"

La cosa mi ha molto turbato: ma come? Il padre della nazione sudafricana, Mandela, trasformato in un testimonial per l'eutanasia?

Ma immediatamente é arrivata la smentita da parte dei medici e anche del presidente Zuma, che ha rimandato un viaggio in Mozambico per sincerarsi delle condizioni di Madiba (nome derivante dalla sua tribú con cui spesso ci si riferisce a Nelson Mandela): Mandela é molto malato, é vero, ma le sue condizioni sebbene gravi sono stabili. E non é assolutamente in stato vegetativo permanente.

Una frottola, dunque? Guarda caso una frottola che riecheggia alla perfezione le isterie pro-choice sull'eutanasia: "risparmiare sofferenze", "la vita che dipende dalle macchine", frase che colpisce molto perché vorrebbe suggerire l'idea di una vita artificiale, da contrapporre ad una "eutanasia" naturale . In realtá é esattamente il contrario: non c'é niente di piú innaturale dell'eutanasia.
Ci sono troppe cose che non quadrano.
Non ci sto, voglio saperne di piú. leggi di piú su Saltovitale

Un attaccante nato


Venerdì scorso, 27 giugno, è morto a 49 anni il campione malato di SLA Stefano Borgonovo

Ero ancora un bambino quando Stefano Borgonovo calcava il campo dello stadio della Fiorentina. A quel tempo mi chiedevo, quando giocavo a palla con i miei compagni di scuola, come facessero nel calcio a scegliere i ruoli. 
Dipende dal fisico, mi dicevano. Altri invece sostenevano il criterio essere più brutale: mettono tutti i ragazzini in campo, e vedono dove naturalmente si piazzano. In mezzo al campo? Davanti alla porta? O all'attacco? 
Alcuni si piazzavano all'attacco perché sanno che la gente ama di più quelli che fanno gol. Altri si piazzavano davanti solo perché credevano di essere migliori degli altri. E talvolta gli allenatori cialtroni ce li tenevano, scambiando l'esuberanza, e talvolta, un'arroganza da bulletto, per "carattere". 
Ma alcuni di loro - pochi, pochissimi!!-  erano invece attaccanti nati. 
L'attaccante ha una testa strana. Non gli importa di difendersi. E', potremmo dire, indifeso. Confida che altri saranno là dietro a coprire. Il suo compito è buttarsi a capofitto su ogni pallone, anche il più più impossibile da raggiungere. E anche se non sembra, l'attaccante è spesso quello che corre di più, che si fa male più spesso, e alla fine della partita è il più stanco di tutti. 

Stefano Borgonovo era un attaccante nato. (leggi di più su SALTOVITALE) 

"Eutanasia legale", le 5 bufale radicali


Nonostante le frottole sull'eutanasia "facile" e senza problemi morali, la verità è diversa

Condensare tante bugie ed imprecisioni in poche righe è impresa difficile. Occorrono abilità, determinazione e soprattutto esperienza di propaganda; tutte qualità di cui i radicali sono maestri indiscussi, a partire da quando, decenni fa, non si fecero problemi a divulgare cifre del tutto surreali a proposito degli aborti clandestini e del numero di donne morte per mano delle mammane. Per questo non stupiscono i molti errori presenti nel testo dellaProposta di legge di iniziativa popolare su: Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia, per la quale è avviata, a livello nazionale, una raccolta firme. Errori che, per comodità di chi legge, ci permettiamo di sintetizzare e presentare in cinque punti, iniziando dalla relazione introduttiva.


«Ben oltre la metà degli italiani, secondo ogni rilevazione statistica, è a favore dell’eutanasia legale». FALSO: nessuna «rilevazione statistica» dice che «ben oltre la metà degli italiani» vuole l’eutanasia legale. Semmai anni fa delle rilevazioni riscontrarono come, per esempio, il 64% degli italiani fosse favorevole all’eutanasia per Piergiorgio Welby (1945-2006): ma si trattava di rilevazioni effettuate (leggi di più su SALTOVITALE)

Evangelium Vitae: la bioetica in 10 punti

Di ritorno dall'evento di sabato 15 e domenica 16 giugno a Roma...

La vera forza di un documento sta nel suo non invecchiare, nel rimanere attuale e in grado di leggere la realtà cogliendone sfumature che possono anche sembrare minori, mentre invece sono quelle decisive. Ebbene, a distanza di ormai diciotto anni dalla sua pubblicazione, avvenuta il 25 marzo 1995, l’enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II costituisce indubbiamente un documento ancora forte e profetico, capace di offrire a chiunque lo legga spunti di notevole utilità per comprendere lo spirito autentico della bioetica, vale a dire quello personalista, mirato cioè alla tutela di tutti gli esseri umani, senza distinzioni. Nell’invitare quindi tutti a leggersi questa enciclica, vediamo brevemente quali sono, a nostro avviso, i suoi dieci maggiori insegnamenti. Il primo riguarda la portata non già morale bensì sociale della difesa della vita umana. Che, spiega il Santo Padre, riveste un ruolo – quanto ad urgenza – paragonabile a quella che nel passato ebbe la questione operaia: «Come un secolo fa ad essere oppressa nei suoi fondamentali diritti era la classe operaia e la Chiesa con grande coraggio ne prese le difese, proclamando i sacrosanti diritti della persona del lavoratore […].

Evangelium Vitae: perché la Verità rende liberi.


Evento per ricordare l'Evangelium Vitae: perché è importante esserci. La Verità rende liberi. Sabato 15 e domenica 16 giugno saremo a Roma. Il motivo non è il turismo, ma una enciclica. 

Per noi del movimento per la vita, l'enciclica più grande, più importante: l' EVANGELIUM VITAE di Giovanni Paolo II. 

Per noi è una specie di Costituzione. Infatti se Saltovitale ha il suo manifesto, i Giovani prolife hanno il Manifesto di Firenze e l'Equipe giovani ha il decalogo, il Movimento per la Vita ha un testo fondamentale più ampio e più bello. Non se lo è scelto, non c'era quando fu fondato. Ma è comunque la nostra costituzione, dove possiamo trovare veramente tutto. Perché siamo qui, cosa facciamo, perché proprio noi. 

Ognuno di noi è colpito da un passo diverso, a mano a mano che procede nella lettura di questa enciclica. Il primo punto che mi ha colpito, di cui mi occuperò adesso, è la spiegazione di una frase. La frase è questa: 
Conoscerete la Verità, e la Verità vi renderà liberi. E' una frase tratta dal Vangelo di S. Giovanni (8, 32). E' talmente proverbiale, ormai, che nemmeno più ci ricordiamo la sua origine e quel che è peggio, ne abbiamo del tutto dimenticato il significato. Eppure è lì. E lo ritroviamo dappertutto nelle parole veramente grandi. Lo troviamo chiaro e tondo nell'Evangelium Vitae, lì, al paragrafo 19 (che in calce riporto integralmente). 

Perché la Verità rende liberi? 


 
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