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Da dove siamo partiti


Testimonianza del CAV di Fasano

Una notte  (erano circa le 11) avevo appena messo a letto il mio papa quando suonarono al campanello. Sulla porta un’amica che mi chiese l’orario del turno che avrei fatto l’indomani in ospedale. La domanda mi sorprese ma risposi alle ore 6 domattina perché? mi disse che voleva essere accompagnata per abortire. Tu sai bene qual è la nostra situazione, ( era veramente grave) tanto che gli inquilini cercavamo di aiutarli.
In quel momento pensai cosa devo dirle o fargli a quest’ora. vedo di convincerla durante il tragitto pensai. Improvvisamente mi ricordai della promessa che avevo fatto durante la santa Comunione. Avrei voluto compier un gesto che avrebbe fatto contento nostro Signore. E cosi le dissi ora vengo giù da te e ne parliamo. Mi sentiti sola e impreparata. Poi con la memoria mi aggrappai e tutti i volontari dei vari Movimenti  per la vita che avevo conosciuto. Mi torno in mente una frase di Vittoria  Quarenghi “Ogni vita ha diritto a nascere” e scomparve in me ogni ostacolo.                          In casa trovai il marito che non mi degnò di uno sguardo, continuando a vedere se riusciva a far accendere un televisore che gli avevano regalato, i bambini piccoli che chiedevano cosa mangiare, la mamma di lei Caterina che piangeva sulla sorte della figlia. ricordo in quel momento di ave detto solo due parole. Chiedimi di darti la mia vita in cambio di quella del bambino che porti in grembo e io sono pronta a dartela, ma non mi chiedere di essere complice del tuo delitto perché non voglio e non posso farlo.  Io ti prometto che ti aiuterò in tutti i sensi se deciderai di farlo nascere.
Il marito a quel punto si alzò chiamo a se la moglie e si allontanarono, dopo poco ritornarono e sedutisi accanto mi dissero “ se tu ci aiuterai come promesso teniamo il bambino.
Quella notte la passai senza chiudere occhi, meditavo su come era stato semplice salvare quella vita, senza arte ne parte si dice da noi per sottolineare che non sempre la professionalità o l’esperienza sono determinanti.
Per nove mesi ho seguito e accompagnato la mamma. e insieme ad altri altre mamma che avrebbero abortito.  Una mattina entravo in ospedale per prendere servizio e trovo M. il marito che mi accompagnò al capezzale della moglie che aveva partorito durante la notte e sapendo in quale situazione famigliare io mi trovassi non vennero a chiamarmi. La piccola era bellissima e ricciolina rosea e pesava 3,kg e mezzo.
R. la mamma mi disse per la prima volta grazie. Vollero che la piccola avesse il mio nome, subito dissi che io avevo fatto una promessa a Gesù Eucarestia quella mattina quindi era a Lui che dovevano il nome della bambina, così mi venne in mente di prendere la parte centrale dell’Eucarestia e trasformarlo in CARES , il nome piacque a tutti, e in particolare a nonna Caterina che si aspettava che la chiamassero come lei. Non mancarono momenti di drammatica angoscia per le condizioni della piccola , tanto che  chiedemmo al cappellano che la venisse Battezzata in casa.  Tante volte la piccola veniva portata a Bari nell’ospedale pediatrico per delle convulsioni.                                                                                             
Cares festeggia il suo onomastico il giorno del CORPUIS DOMINI.  R. ha avuto un’altra bambina dopo Cares ed erano 4° distanza di due anni tra loro. NEL 2014  ricevo una visita era Cares con un fagottino in mano, era appena scesa dall’ospedale e nonostante ormai lontani da casa mia e aveva voluto che incontrassimo la sua bambina.
Tante giovane mamme abbiamo incontrato insieme ad altre persone che volontariamente si erano trovati a rispondere a domande di aiuto per una maternità indesiderata. 
La più importante fu quella di Don Angelo un medico che ci mise a disposizione il suo ambulatorio nei giorni in cui lui non lavorava. Elia la moglie liberò una stanza in casa per accogliere quelle ragazze che decidevano per la vita.  Si ricevevano richieste di ascolto anche da altri paesi. Così è partito il nostro centro di aiuto alla vita 1 in Puglia, e poi ne sono sorti altri. Ostuni. Taranto Lecce, altri ancora. 
Viva la Vita.


Creati perché la donna tornasse a sorridere



Il racconto di una vita da volontaria CAV 

Sono ormai trentotto anni che faccio parte del Movimento per la vita, dal momento della mia conversione, avvenuta nel 1976 e partecipai ad un incontro, a Firenze, dove si relazionava sull’operato del primo Centro di Aiuto alla Vita (CAV), dopo un anno dalla sua nascita.
La conoscenza di Dio fece sorgere in me una serie di domande: chi sono? Perché Dio ha voluto che esistessi? A che serve la mia vita? Come l’ho vissuta prima d’ora?
Dopo molte riflessioni, ho capito che la vita è un grande dono, ho capito che questo dono ricevuto dovevo a mia volta ridonarlo, ma a chi? Al mio prossimo, a colui che mi sta accanto, al fratello che ogni giorno incontravo; capii, quindi, che dovevo cambiare il mio modo di essere ed impegnarmi in qualcosa che fosse degno della mia esistenza.
Ero insegnante, ma come svolgevo la mia professione? Il mio prossimo erano i giovani studenti e i miei colleghi, dovevo innanzitutto rivolgere lo sguardo a loro, guardarli e amarli come persone aventi una grande dignità con tutti i loro pregi e difetti. Ma Dio non voleva solo questo e si manifestò subito la sua volontà, dovevo andare oltre, interessarmi della vita di tutti e, per una serie di circostanze, della vita nascente; comunicare agli altri che la vita con le sue gioie e i suoi dolori, doveva essere spesa per chi, creato ma non ancora nato, aveva il diritto di viverla.
In tutti questi anni ci sono stati momenti di gioia e di grande dolore, specialmente quando ci troviamo di fronte ad una madre che decide di sacrificare la creatura che porta in grembo e non riesci a persuaderla a portare avanti la gravidanza. Ecco il compito difficile al quale siamo chiamati, se operiamo nei Cav.
Ma anche momenti di grande gioia.
Qualche decennio fa la donna in attesa di un figlio era guardata  con spontanea ammirazione, con compiacimento; il senso di ciò che avveniva in lei era colto da tutti generalmente come un evento naturale e positivo. Nella società attuale è venuta meno questa evidenza, assieme ad una perdita di valori. La gravidanza può essere considerata positiva o negativa a seconda di come viene vissuta o percepita dalla coppia o dalla donna.
Per esperienza vissuta da anni l’operatrice del CAV sa che una donna difficilmente trova nel contesto della società delle valutazioni positive e quindi sostegno. E’ perciò compito dell’operatrice cercare di sollecitare risposte personali, vincere le paure e dar spazio alle speranze, affinchè venga riconosciuta all’evento la connotazione positiva. La donna vive un momento di tempesta emozionale, talora di crisi, anche nel caso in cui la gravidanza è stata accolta favorevolmente. La donna deve rimettere in discussione se stessa, la sua identità, essa vive l’evento con una ambivalenza in cui, a momenti di gioia, di attesa fiduciosa, di serenità, si alternano momenti in cui rimetterebbe tutto in discussione.
La donna amata non abortisce, infatti spesso le cause principali degli aborti sono la mancanza di aiuto, di collaborazione, di accoglienza dell’uomo, l’abbandono, il disinteresse. 
La donna ha bisogno di essere ascoltata e compresa. Deve avvertire che i suoi problemi stanno diventando anche problemi dell’operatrice. Il silenzio in certe occasioni è significativo. Lo scopo principale è quello di capire veramente la situazione della donna. Il Cav si pone accanto alla donna, rispetta e accoglie la donna, qualunque cosa ella decida.
Francesca, Alessia, Lavinia, Teresa,…. (nomi di fantasia) hanno saputo dire sì alla vita e sono tornate con il loro bambino felici, sorridenti, fiduciose. E in quel sorriso c’era il loro ringraziamento.


GIULIANA ZOPPIS

L’accoglienza dell’altro: un impegno che parte dal quotidiano




La settimana di formazione dei giovani del Movimento Per la Vita si avvia alla conclusione. Non prima, però, di avere lasciato ai ragazzi importanti domande che li guideranno in una riflessione che non potrà fermarsi a queste giornate. L’accoglienza è uno stile di vita e non può racchiudersi in format prefissati, è crescita essa stessa. Per questo, il programma di formazione del Seminario Quarenghi spazia e abbraccia tutte le realtà che si possono incontrare nella vita quotidiana: dal bambino concepito, alla persona con malattie genetiche, al malato terminale, alla persona che incontriamo in autobus.

La giornata di venerdì è stata dedicata alla sempre più attuale riflessione sulla realtà dei rifugiati politici. Uomini e donne costretti a rinunciare alla propria vita nella propria scuola, città, nazione per mettersi in viaggio verso una possibilità di sopravvivenza. È la storia di Amara, 20 anni, che racconta la sua fuga dal Mali e dalla persecuzione dei jihadisti: “lì mi aspettava la morte sicura, il mare una morte probabile”. Amara arriva in Italia dopo un anno e mezzo di viaggio, intervallato da periodi di lavoro forzato, permanenza nel deserto, trasporti in condizioni disumane. Anche la richiesta di asilo politico non è scontata, ma Amara – ripete più volte- è stato fortunato. A Roma, Amara incontra la realtà del Sacro Cuore che si occupa, tra le altre attività, di rifugiati. Qui impara l’italiano e riesce a ottenere il diploma di terza media, poi studia informatica e si inserisce sempre più nella realtà romana. “Si tratta di esperienze di resurrezione di questi giovani” ci spiega Vittoria De Santis, volontaria all’interno del progetto missionario del Sacro Cuore, perché “ognuno diventa generatore di vita per l’altro”.

I ragazzi sono poi accompagnati in questo percorso di accoglienza a 360 gradi da Arturo Bongiovanni, giovane avvocato molto attivo nella diffusione del valore della vita nelle scuole secondarie. Arturo ha spiegato in modo rapido ma completo la legislazione sull’aborto e le sue inquietanti implicazioni e la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, nella sua impostazione e nelle sue modifiche per via giurisprudenziale, che purtroppo hanno molto marginalizzato le tutele che essa poneva inizialmente. In seguito, attraverso il riferimento a figure come Martin Luther King, Nelson Mandela e Don Lorenzo Milani, ha esortato i ragazzi a spendersi nella difesa e nel volontariato per la vita, mostrando come minoranze in apparenza insignificanti siano state, nella storia, artefici dei cambiamenti che hanno reso il mondo un po’ più giusto. Arturo ha concluso citando l’esempio di accoglienza della vita di Chiara Corbella, una madre coraggiosa che ha rinviato le cure per il tumore da cui era affetta per non compromettere la gravidanza in corso, riuscendo a salvare il suo bambino pur a prezzo della sua vita; Chiara è morta a soli ventotto anni ma con il sorriso sulle labbra.

Le case di accoglienza: una, dieci, cento storie da raccontare






Mariantonietta ci racconta la sua esperienza di Servizio Civile presso la Casa di Accoglienza “Madre Teresa di Calcutta” di Viterbo.

Sono arrivata in Casa di Accoglienza un anno fa, avevo tanto sentito parlare negli ultimi anni di Case di Accoglienza e di Centri di Aiuto alla Vita. Tante testimonianze che nel corso degli anni mi hanno toccato il cuore, compreso quella di una mia cara amica per la Vita, con cui ho iniziato il mio servizio alla Vita 7 anni fa e che, ogni volta che riascolto, è un’emozione: senti la Vita, quel valore che va oltre la morte, oltre chi tenta di dissuaderti dal tuo compito di madre, quello di compiere il gesto di amore più grande, dare la Vita ad un figlio.
Ogni madre dovrebbe essere messa nelle condizioni di dare e accogliere la Vita ed è quello che le aiutiamo a fare con il Centro di Aiuto alla Vita e con la Casa di Accoglienza. Cercare di rimuovere tutti gli ostacoli che spesso portano le donne a dire no a un figlio, per paura, per solitudine, per problemi economici, per “ricatti” da parte della famiglia, e per tantissimi altri motivi, che non bastano a giustificare l’aborto. Non è certo un compito facile, ma la gioia più grande è poi vedere queste donne, scoprire la maternità, vedere nei loro occhi, la serenità, la gioia, la voglia di dire quel “si”, che dal primo istante ha cambiato le loro vite, anche prima che loro stesse potessero rendersene conto.                                                                    
Quando ho iniziato un anno fa questo servizio, per me era tutto nuovo, non avevo mai fatto un colloquio e ogni giorno per me continua ad essere una meravigliosa scoperta, sento che ho ancora moltissimo da imparare. Da Maria, responsabile della Casa di Accoglienza nonché Operatrice locale di progetto, e dalla sua famiglia sto imparando cosa significhi essere una Famiglia per la Vita, cosa significa amare gratuitamente senza volere e avere nulla in cambio. In questo anno ho toccato con mano cosa vogliano dire Accoglienza, Gratitudine, Volontariato, Rispetto.
Vivere la quotidianità nella Casa mi ha permesso di capire tutto il lavoro che c’è dietro e che molti nemmeno immaginano. La speranza più grande è non sentire più parole come quelle ascoltate alcuni giorni fa: “Ora  come ora,  più che mai sono pro-aborto” oppure: “…e perché non ha abortito?”. L’aborto non è una soluzione è l’inizio di un problema.

Ricorderò sempre con affetto: Gabriela e Giany e il saluto di Giany dall’aereo, quando è partito con la sua mamma. Sono state le prime persone che ho conosciuto in Casa di Accoglienza e nella mia camera ho ancora il “bentornata” che mi aveva scritto qualche mese prima e un ciondolo realizzato da lui. Porterò con me Gein e Sofia con i suoi “sorrisoni”,  Lucia, Francesco e il piccolo Samuele che non abbiamo conosciuto, Dalene con Marlene di cui non abbiamo più avuto notizie, Suada e la sua situazione di post-aborto, Magda, con un’accoglienza di una sola notte, ma che comunque ci ha lasciato dei pensieri molto belli sull’ opera di accoglienza che si sta portando avanti. Ricorderò sempre anche la storia di Malwina: una ragazza non udente e di Luca, suo figlio, che per me è stata un’esperienza nuova, dove l’iniziale paura di non riuscire a comunicare con questa donna si è trasformata in capacità di comunicare oltre la disabilità. E poi, Elodie, una ragazza molto timida, che dice di aver trovato in me una sorella, ma che anche lei come tutte le altre mamme ha bisogno di “fermezza e dolcezza” come è solita dire e fare Maria. E, ancora, Silvia, con tutte le sue problematiche... Ognuna di queste donne è diversa dall’altra, ognuna di loro ha una storia alle spalle, ognuna di loro ha un tesoro prezioso, di cui spesso nemmeno si rende conto e, nella sua unicità, ogni storia ti trasmette tanto. 
Ha detto una mamma:”io questo posto non lo conoscevo, dovrebbero parlarne di più, voi fate tanto, questo è un posto dove dal dolore, le mamme possono ritrovare la forza con la gioia”. Ogni giorno è un giorno nuovo per le mamme e i bambini, che giorno dopo giorno fanno dei passi in avanti rispetto alla loro situazione di partenza per il raggiungimento del loro progetto ed anche per me è stato importante, perché in questo anno ho imparato tanto.

Le belle storie finiscono sempre con un grazie. Un grazie che va ridonato a coloro che ci hanno regalato tanto. Per questo, al termine della mia esperienza di Servizio Civile, mi restano numerosi “grazie”. Rispetto. Per questo, un grazie speciale a Maria, che nella quotidianità mi è sempre vicina e mi sta insegnando a crescere giorno dopo giorno al Servizio della Vita. Lei dice spesso, “le cose capitano a chi le fa, a tutti può capitare di sbagliare, importante è parlarne per poi trovare soluzioni positive”. Grazie a lei sono arrivata a sostenere i colloqui con le donne in difficoltà in autonomia. A volte la paura di poter sbagliare mi frena e lei mi ha dato fiducia, rafforzando la mia autostima. Mi piace donare un sorriso a tutte le persone che vengono, con la speranza che possa scaldare il loro cuore e far arrivare l’Amore per la Vita che mi porta ad essere qui ad occuparmi di loro. Grazie per il laboratorio di pedagogia, è un modo per trasmettere quello che ho studiato alle mamme e di mettermi alla prova sui temi inerenti il parto e la cura dei bambini. Il segreto di tutto è fare con amore quello che si fa.
Le storie, i sorrisi, i bambini sono le ragioni che stanno dietro il Volontariato per la vita e in questo caso al Servizio Civile. Un bagaglio indistruttibile e prezioso che ti viene consegnato e che ti fa crescere giorno dopo giorno, nella gioia del dono di sé. Ecco perché, mi sento di invitare tutti i giovani a intraprendere questo percorso di crescita, umana e professionale al contempo. E, in particolare, vi propongo la nuova esperienza: “Insieme per crescere”, perchè il volontariato per la Vita ha una marcia in più che si scopre giorno dopo giorno, nell’accoglienza dell’altro.
Fino al 23 Aprile si possono presentare le domande per il Servizio Civile alla Casa di Accoglienza “Madre Teresa di Calcutta” di Viterbo, che accoglie nuclei madre-figlio in stato di disagio. Un intreccio di storie, dunque, e di testimonianze: la mia, quella degli abitanti della casa, quella dei volontari…. E la tua!

Mariantonietta


Dodicenne violentata, rifiuta l’aborto: nessun rimpianto 23 anni dopo.



Lianna Rebolledo era poco più che dodicenne quando fu brutalmente violentata da due uomini vicino casa sua. All’ ospedale i dottori, le dissero che aspettava un bambino e le raccomandarono di abortire. Lianna, dopo aver chiesto al dottore se questo avesse potuto alleviare il suo dolore, e avendo avuto risposta negativa a questa sua domanda, decise di tenere il bambino nonostante tutto.

Racconta: “Se l’ aborto non rappresentava la soluzione, non vedevo perché avrei dovuto fare quella scelta. Ero solo consapevole del fatto che, avevo qualcuno dentro di me. Non mi sono mai curata di chi fosse il padre biologico. Era la mia bambina, era dentro di me”.

Ora Lianna ha 35 anni e non si è mai pentita di aver scelto di far nascere la sua bambina. Non solo, proprio la presenza di sua figlia l’ha aiutata a superare pensieri suicidi: “È stato veramente difficile ma mi è bastato vedere quella piccola creatura che mi mostrava la sua gratitudine per averle dato la vita. 
Infatti, aveva soltanto quattro anni quando per la prima volta mi disse: Mammina, grazie per avermi donato la vita. È stato in quel momento che ho realizzato che era stata proprio lei a ridonarmi la vita”. E conclude: “Nel mio caso, due vite sono state salvate, ho salvato e scelto per la vita di mia figlia ma lei ha salvato la mia”. Anche se la violenza è stato un momento veramente pesante ,se dovessi attraversare questo momento di nuovo, lo rifarei, solo per conoscere e amare mia figlia. C’è sempre stata per me, è l’ unica persona che mi ha mostrato l’ amore vero, le sarò grata per sempre”.

Giorgia Gagliardini

Fonte: lifenews.com

Meglio il piccolo principe che il principe azzurro

Alla Giornata per la Vita organizzata dal MPV Fiorentino e dall'arcidiocesi di Firenze, la bellissima storia di una mamma e del suo bambino 

Era un principe azzurro quello che cercavo. Un principe azzurro che si è rivelato un ragazzo con problemi di tossicodipendenza, del quale sono rimasta incinta. Ho abortito. Lui è morto di AIDS. Sono rimasta sola. A parlare è Nicoletta. Una donna ormai matura che raccontando la propria adolescenza ricorda con amarezza gli errori commessi.

Iniziai ad abusare di sostanze. Già quando stavo con lui e anche dopo la sua morte. Arrivai al punto in cui mi dissi “O muoio definitivamente o comincio a risalire”. Fu proprio lì che incontrai un uomo con un passato simile al mio, Daniele. Daniele mi capiva, io lo capivo, avevamo entrambi dei problemi. Dopo un anno ero incinta.

Adesso il piccolo Samuele ha 7 anni. Con i suoi capelli biondi a spazzola e la sua sciarpa svolazzante nelle giornate d’inverno, è la copia esatta del Piccolo Principe della storia di Antoine de Saint-Exupéry. La sua stessa esistenza è testimonianza di vita. Sì, perché Samuele non doveva esistere. La prima cosa a cui pensai fu di abortire una seconda volta – continua Nicoletta - perché alla notizia di essere incinta mi crollò il mondo addosso. Io avevo già 42 anni, avevo fatto uso di sostanze ed ero piena di problemi. Daniele aveva una malattia al fegato degenerativa, era sieropositivo e non aveva un lavoro. Eravamo due persone che facevano fatica a badare a se stesse: come avremmo potuto tenere un bambino?
Dalla richiesta di aborto al giorno dell’intervento ci sono 30 giorni. Un mese in cui tutto cambia per Nicoletta. E’ lo stesso piccolo Samuele a farsi sentire importante. Mi hanno fatto l’ecografia: ho visto il bambino piccolo ma già formato, ho sentito battere il suo cuore. Era come sei mi parlasse. Poi ho parlato con le persone del Centro di Aiuto alla Vita di Brescia. Lì ho cambiato idea, perché ho capito che sarei stata aiutata. Ho capito che sarei stata libera: libera di avere mio figlio nonostante le mie difficoltà.

Samuele è nato sieropositivo - prosegue - ma si è negativizzato nel primo anno. Anche nei momenti più difficili dei suoi 7 anni, anche dopo la morte di Daniele, non ho mai pensato “Ma chi me lo ha fatto fare?”. Il vero aiuto del CAV, i cui volontari mi sono sempre stati vicini, non è stato quello economico: è stato avere accanto persone che sembrava che amassero Samuele già prima che io stessa capissi di amarlo.

ANDREA CUMINATTO 

Leggi dal blog di Andrea QUI

Storie di vita, oltre la morte: Isabella e la sua lotta alla Leucemia


Occhi grandi e scuri, capelli biondo chiaro e mossi, un tatuaggio sulla parte alta della schiena. E proprio da quel tatuaggio inizia una storia che magari ai più non suggerirà nulla ma che a me ha così tanto parlato di vita e coraggio da riuscire a commuovermi. “Che significato ha quel tatuaggio?”. Subito mi mordo la lingua, la buona educazione richiederebbe di non rivolgere domande personali a chi si conosce da pochissimo ma ormai il danno è fatto. Isabella si volta, mi sorride e con disinvoltura mi racconta la sua storia mentre siamo in coda per la mensa.
Il tatuaggio che troneggia spavaldo sulla schiena di Isabella è la rappresentazione della fata dell’assenzio, tra le cui ali è inserito il numero 16. Perché il 16 aprile 2010 le parole di un medico del reparto di ematologia di Vicenza fanno crollare il roseo mondo di una ragazzina quattordicenne, annunciandole di essere affetta da Leucemia Linfoblastica Acuta, malattia del sangue e del midollo osseo per cui i globuli bianchi, a causa di alcune cellule tumorali, non distinguono i globuli rossi dai batteri e li attaccano, provocando all’organismo una gravissima anemia.
Da quel momento l’esistenza di Isabella inizia a spegnersi. Alle lacrime si accompagnano la rabbia e il rancore di chi non vede giustizia nel dover sopportare un incidente di vita così grande a soli 14 anni. Il cancro per lei equivale ad una sentenza di morte che non le lascia scampo e all’inizio della sua lunga e faticosa avventura chemioterapica a Padova non c’è speranza ad animare il suo cuore. Rannicchiata sul letto d’ospedale a piangere, mentre la soluzione di chemio e antidolorifici scorre nel sangue per guarirla, lei assiste alla sua esistenza che scivola via, lontana dagli occhi di familiari e medici che non vuole vedere. Ma una mattina Oriana, la sua infermiera, le regala parole che la riportano violentemente alla vita. Quel giorno Isabella, divenuta troppo magra, non riesce ad alzarsi per la visita giornaliera e resta sul letto, accanto al quale arriva Oriana. La guarda con sguardo intenerito e le dice “vuoi lasciarti consumare così principessa? Adesso ti dico una cosa. Hai davanti a te due possibilità: la prima è rimanere qui, così, senza cercare di fare niente; la seconda è quella di diventare una farfalla. Perché adesso sei solo una farfalla chiusa in una crisalide, per uscirne ci vuole tanta forza, tanta sofferenza e bisogna anche essere un po’ incauti. Ma quando uscirai da quella crisalide, sarai la farfalla più bella, te lo assicuro. A te la scelta comunque!”
In quei giorni Isabella si accorge di quanto profondamente sia legata alla propria vita quando prima di dormire, ogni sera, prega per riuscire ad aprire gli occhi la mattina seguente. La leucemia porta ad una morte dolce, offre un sonno che un po’ alla volta spegne gli organi vitali e rallenta inesorabilmente cuore e polmoni. Ma Isabella ora non è sola a combattere il suo mostro: vuole di nuovo accanto a sé la sua bellissima famiglia, la mamma, il papà e le due sorelle, che comprendono i suoi silenzi, la curano amorevolmente nel post chemio, non smettono di farla ridere fino alle lacrime, e donandole la certezza di essere amata in misura incondizionata le insegnano che non c’è prova che tenga davanti ad una famiglia unita.
Il 16 maggio 2011 Isabella, dopo due anni di sofferenza e due incontri ravvicinati con il buio della morte, secondo il responso medico, è guarita completamente e il 16 maggio dell’anno successivo conclude definitivamente il ciclo di terapia. E quando siede davanti a me, ammette la verità di quella frase fatta che spesso ci sentiamo dire: si è accorta di quanto la vita potesse essere un dono solo quando era lì lì per sciuparlo per sempre. Ora guarda la vita negli occhi con coraggio, racconta a chi si imbatte nella sua storia che la vita è un miracolo da accogliere e affrontare a denti stretti, difficoltà dopo difficoltà, anche e soprattutto perché può essere infinitamente bastarda, come dice lei. E poi racconta di quanto, prima di tutto, possa essere un’esperienza piena di gioia, costellata di piccoli e grandi successi come tornare a scuola dopo la malattia, ricominciare a sognare, scoprirsi capaci di trovare soluzioni per superare le prove quotidiane con cui crescere. 
E tutto questo Isabella lo vuole confidare ad una persona in particolare, la sua piccola e dolce nipotina. Anche e soprattutto nella vita nascente di Rebecca, ha riscoperto quanto sia giusto consumare i propri polmoni per urlare che la vita, per quanto difficile possa essere, è bellissima sempre ed è la prima cosa da amare e difendere, senza se e senza ma. 
Per lei ha composto una poesia che toglie il fiato e di cui vorrei riproporre solo pochi versi: “Voglio che tu abbia un nome, un’identità,/ perché tu non ti senta mai uno fra i tanti;/ voglio che tu abbia un perché per ogni cosa,/ perché tu non creda mai di inseguire una causa persa.”
Con l’augurio che tu possa riempire i colori delle tue ali di sogni da inseguire, cause giuste per cui combattere e vite da amare,

Buon volo Isa!


Irene Pivetta

Suor Cristina e l'aborto: «se nascevo nel 2000 l’amniocentesi mi fregava».


Si chiama Cristina Acquistapace, è affetta da sindrome di Down, è una suora. Di lei su internet gira un’intervista video alla trasmissione “A sua immagine”. 

Con parole delicate e precise, in quell’intervista va al cuore di una ferita aperta nella modernità occidentale: l’aborto. «Se nascevo nel 2000 l’amniocentesi mi fregava», dice a un certo punto. Tempi.it si è preso la briga di andare a incontrare a casa sua Cristina, incontrandola in compagnia dei genitori. Ha 41 anni, ma ne dimostra venti in meno quando arriva ad accoglierci con una maglietta viola su cui campeggia la scritta gialla “prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro”. Saluta, mentre gioca con due cani che non la mollano mai. Al suo fianco, mamma Marilena. «Siamo una squadra», esordisce Cristina. «Non solo per sostenerci, ma per andare a raccontare quanto bella sia la vita, anche quando ti arriva un pacco come me: prendi due e paghi uno. Di cromosomi intendo. Vero ma’?», ride Cristina, che quando è nata, mamma Marilena era solo una ventenne.

Cosa pensi dell’aborto? «Se nascevo nel 2000 l’amniocentesi mi fregava».
CROMOSOMI. Marilena la mette giù così: «Gli dissi: “Signore sono giovane, se mi dai questo, adesso tu mi aiuti a portarlo. Non sapevo ancora che era proprio mia figlia l’aiuto più grande che stava dando alla mia vita». Ma Cristina si fa seria: «Non esagerare, mamma, che te ne ho dati di problemi… Beh anche voi a me», aggiunge ridendo. Marilena le ricorda che «è normale, dovrebbe essere sempre così tra figli e genitori», ricordano con ironia le sere che «per insegnarle ogni cosa la mandavo a letto sfinita». E le volte che «non le ho risparmiato la fatica di sbrigarsela da sé, ad esempio quando ha ricevuto il primo insulto. Certo che soffro a vederla star male, ma questa è la vita e se l’avessi messa sotto una campana di vetro, sarebbe stato peggio».
Marilena, sin da quando Cristina era piccola, le ha ripetuto questa frase: «Figlia mia, hai un cromosoma in più e non è colpa di nessuno, capita ma noi combatteremo insieme». «Se non glielo avessi spiegato – aggiunge – si sarebbe spaventata di più. I figli non vanno etichettati: cromosoma sì, cromosoma no». Poi le due si guardano e Marilena continua: «Quindi sai che non te le mando a dire: se ho detto che sei la maestra della mia vita è così».

LASCIALO STARE QUELLO, E’ UN IMBECILLE. Come quella volta che Marilena fece un incidente e il conducente dell’auto la insultò. La donna perse il controllo e Cristina le spiegò: «Ma’, non vedi che quello è un imbecille, se ti metti al suo livello rischi di confonderti con lui». Bisogna dire che Cristina sa chiamare le cose solo con il loro nome. E che, pur sincera come una bambina, ha la tempra di una leonessa. «La vita è dura, a volte ti mette in ginocchio, ma c’è molto bene e solo per questo vale la pena vivere… è bello vivere».

E si vede che non mente, perché come Cristina gusta i piatti preparati dal papà che pare un cuoco, come ride alle battute, come guarda le montagne della sua baita, provoca invidia. Pur sapendo che, se anche non lo dice «perché non si lamenta mai» spiega la mamma, spesso i denti le fanno male, le ginocchia cedono e gli acciacchi sono quotidiani.

ESSERE MADRE. «Eh la sofferenza… – continua la ragazza – chi vive in una corazza per non sentirla, non permette nemmeno alla gioia di entrare. Per gioire davvero bisogna accettare il dolore». Questa corazza sarebbe anche il motivo per cui, secondo Cristina, nel mondo d’oggi mancano madri e padri veri: «Senza strappo e sacrificio non si cresce. Restiamo fermi, degli eterni adolescenti. Io invece mi fortifico».

Cosa fa oggi Cristina? «C’è troppa povertà spirituale», dice. Quindi? «Quindi bisogna educare le persone, per questo giro l’Italia». Mentre prima lavorava come cuoca in un asilo, «ora che il fisico tiene meno, do testimonianze nelle scuole, aiuto i giovani che mi chiedono consigli e ne ho adottati alcuni a distanza». Due ragazzi in difficoltà sono i figli acquisiti a cui la famiglia della ragazza ha aperto la porta. Per questo Cristina si definisce una madre, «anche se non biologica come un tempo avrei voluto».

LE MEZZE RISPOSTE NON ESISTONO. Cristina desiderava sposarsi, ma a 19 anni fece un viaggio in Kenya. Lì, aiutò una missione di suore. «Vivendo come loro, mi riscoprivo felice di servire Gesù. E sentii nel cuore che mi chiamava a dargli tutta la vita». Davanti a quell’idea, per la prima volta da quando era nata, anche Marilena dubitò: «Ho combattuto perché frequentasse la scuola quando i Down non ci andavano ancora, perché imparasse tutto quello che le era possibile, ma quella volta pensai a un’infatuazione». Cristina si arrabbiò: «Mamma, io devo vivere la mia vita e se il Signore chiama le mezze risposte non esistono». Quando Marilena sentì Cristina pregare, «con riflessioni di una profondità che mi sbalordiva, capii che era vero».

Fu l’inizio di una nuova battaglia. Sebbene fossero in molti a essere diffidenti di quella vocazione, la congregazione dell’“Ordo Virginum”, che rispondeva all’allora vescovo di Como, monsignor Alessandro Maggiolini, non pose limiti alla provvidenza divina. «Mi trattarono come una donna. Capii che era il mio posto, anche perché volevo servire Cristo stando nel mondo». Come lo ha capito? Facile: «Queste cose si capiscono, è naturale».

Quando a 33 anni la ragazza pronunciò i voti di castità, povertà e obbedienza, al termine della funzione Marilena si avvicinò alla figlia, «per sentirmi correggere ancora una volta: “Adesso è finita finalmente”, le dissi. E lei: “No, è solo cominciata”. Come al solito aveva ragione».

SBOLOGNATA DAI MEDCI. Nel 2008 Cristina cominciò a stare molto male, un virus le faceva traballare le ginocchia. Inizialmente, i medici «mi sbolognarono dicendo che mia capitava così perché sono Down». La risposta alle sue rimostranze fu uno psicofarmaco. Marilena allora portò Cristina in un altro ospedale. «Lì – spiega la mamma – la guardarono come una persona, non per la malattia che ha e le diedero una buona terapia». Ma solo nel 2012 arrivò quella migliore, peccato che prima di dare beneficio la cura prevede due settimane di dolore acutissimo e continuo. «Era diventata troppo dura, ma ecco che mi arrivò il vero l’antidepressivo», ride la ragazza. «Mi regalarono questo cucciolo di cane che si chiama Uriel, il nome di un angelo di Dio, e mi diede forza. Lo sfidai, come faccio sempre con il dolore, e dissi: “Ok, sei solo un cucciolo, io devo fare di te un grande cane”, e cominciai a reagire di nuovo». Uriel arrivò l’8 dicembre scorso, lo stesso giorno in cui Cristina fu concepita: «È la data dell’Immacolata Concezione. Un caso?», dice aprendo le braccia.

LI PRENDO COME SONO. È il momento dei saluti, c’è tempo solo per un’ultima domanda. Cristina, ti capita di sentirti su un altro piano rispetto agli altri? «Diciamo di sì, a volte capisco che non vedete le cose per quelle che sono: un dono continuo del mio Sposo. E quindi si chiacchiera del nulla». E ti spiace? Cristina alza le spalle: «Dipende, se serve una svegliata intervengo, a volte mi arrabbio. Ma gli uomini sono fatti così, li prendo come sono. Come prendo me».

Fonte: Benedetta Frigerio Tempi.it

I Giovani Prolife arrivano sulla stampa!


Una pagina de Il resto del carlino interamente dedicata allavita, uscita in una giornata (24 Dicembre) in cui la vita vede il sul massimo trionfo. Una testimonianza diretta, di una ragazza che ha scelto la vita nonostante le difficoltà e la testimonianza di una grande volontaria, che si spende ogni giorno per affermare la meraviglia che è la vita
. L'abbiamo intervistata anche noi.

Cosa si prova ad uscire nelle pagine dei giornali con un messaggio cosi importante?

Stupore, soddisfazione e gratitudine.
Stupore perché, pur essendo consapevole dell’importanza del nostro volontariato e cosciente di quanto bene nel tempo abbia seminato nei cuori delle persone, mai avrei immaginato che un giorno mi scrivesse una giornalista per sapere di più e per poi scrivere un articolo su quello che il Movimento Per la Vita fa ed è. Una giornalista interessata, addirittua, a capire le ragioni di come io sia rimasta rapita da questo movimento.
Soddisfazione perché tra tante "bad news" leggere a caratteri cubitale “ felice di non aver abortito” e vedere vicino una foto con le bandiere sventolanti del Movimento per la Vita mi lasciano la suggestione che in questo mondo la cultura della Vita, seppur spesso offuscata, traviata, distorta, è intimamente forte e prima o poi esploderà in tutta la sua forza.
Questa pagina di giornale è una triplice vittoria: d’amore, di Vita, e di una cultura che apre gli occhi anche a ciò che non è scandalo o gossip.
Infine, gratitudine perché, quelle righe, scritte da Lucia Gentili -una giornalista che serba in sé 3 doti rare se intrecciate per parecchi del suo mestiere, professionalità, umanità e sensibilità- sono la fotografia di un momento della vita, che neanche con l’immagine più fantasiosa avrei pensato. Gratitudine, quindi, a tanti compagni di viaggio, di Vita… e a Dio.


Qual è stato e qual è il tuo cammino da giovane prolife?
Quello di un’adolescente come tanti altri, che in un periodo di crisi esistenziale, incontra l’Amore in un viaggio inaspettato con i volontari del Movimento per la Vita. Lo incontra a Strasburgo… per questo prima di ritornare in Italia ci mette in po’. Una volta planato fino a casa sua però, le tante cose che si illuminano di una luce nuova, anche la sfida della Vita le appare più limpida e intrisa di uno dei sensi più profondi per cui spendersi. Comincia un cammino di formazione, conoscenza e perché no anche cambiamento. Un anno fa, inoltre, le viene proposto di co-gestire un gruppo di giovani prolife regionale, insieme a quella che attualmente è la sua inseparabile socia, Giorgia Gagliardini, e in seguito a Erika Cherubini. Nasce un sogno, una sfida, un’opportunità. Ad oggi, i sorrisi dei nostri giovani, gli abbracci e il loro spirito “ temerario” ci dicono che tutto il tempo speso e che spenderemo con loro vale quanto l’oro. E’ così che la vita di una qualunque adolescente, che sarei io, non è più la stessa.

Perché si dovrebbe parlare sempre di più di queste tematiche? In che modo i giornali ci aiutano in questo ambito?
Il discorso da aprire sarebbe interminabile… toccherebbe ambiti giuridici, sociologici e psicologici, ma se vogliamo arrivare al motivo principale per il quale si dovrebbe parlare più spesso di queste tematiche è proprio perché l’informazione che ci viene trasmessa è sempre più mediata, offuscata, da filtri ideologici che molto spesso non sono prolife. Le persone devono sapere che l’embrione non è un grumo di cellule, che non è una parola astrusa, ma una vita con un cuore che batte, già dai suoi 18 giorni. Le persone devono sapere, e poi in seguito poter capire, qual è la deriva socio-esistenziale attuale. La voce dei giornali è una voce autorevole, perché che-che-se-ne-dica, la gente legge ancora, in cartaceo o su un i pad, e si interessa anche a queste tematiche, troppo spesso tagliate fuori dell’interesse televisivo. Fornire uno spettro più ampio di informazioni, prospettive, visioni è incentivo per una considerazione ecologica e veritiera di situazioni quali l’aborto, l’eutanasia e svariate altre. Apriamo gli occhi e mettiamo a frutto la nostra intelligenza, che nel senso più letterale della parola significa saper leggere dentro.
Per queste ragioni, un grazie è sentito e dovuto: grazie, Lucia, per aver avuto il coraggio di sporcarti le mani con quelli che vengono considerati temi scomodi, e che, in quanto tali, è meglio evitare. Il coraggio unito al tuo desiderio profondo di portare luce sulla verità hanno “dato vita” a tre bellissime storie inedite: quella di Emma, la mia, e la tua, che nel nome della tua passione metti la tua firma su pezzi degni di nota, senza alcun compromesso. In bocca al lupo per il tuo futuro professionale. Sei già una persona di successo... e sai il perché.


ll pezzo è uscito in una giornata particolare per chi crede e per chi non crede. Un dono, un segnale, una ragione di festa?
Anche questa volta mi complico la vita: tutti e tre. La speranza e la gioia che si augura per queste feste Natalizie e che riempie più del solito tante case è il segno che nonostante tutto non c’è ragione per rinunciare a guardare il cielo, il giorno di Natale e sempre. La storia di Emma mi dice che se vogliamo, possiamo “festeggiare il Natale almeno una volta al mese", credenti e non. Arturo Buongiovanni, un grande relatore, un giorno ci disse convinto: "ricordatevi sempre che dietro alle nuvole e al cielo cupo, il sole c’è sempre. Basta solo aspettare che le nuvole piano piano lascino posto ai suoi raggi caldi". Io ci credo, sempre, il giorno di Natale in particolar modo. Migliaia di mamme che non si sono arrese di fronte a una gravidanza difficile ci credono, come me e insieme a me. Questo è il regalo, di Natale e non, più bello.

Impegnarsi nel volontariato. Ne vale la pena? Perché?
“Abbiamo capito che il futuro della vita dipende da noi e che la nostra vocazione di giovani è proprio fare di tutto per salvaguardarla e proteggerla.. è la nostra missione di uomini e donne, oggi e domani. Non fare nulla perché si può fare poco è la prima tentazione da sconfiggere”. In queste parole è riassunta la Ragione.
Quando incontriamo i nostri giovani l’augurio che lasciamo sempre loro è proprio quello di incrociare sulle loro strade la Bellezza, si quella con la B maiuscola, quella che nasce da una parola semplice, ma sconcertante, quella che d’un tratto ferma il tuo respiro e ti dice che hai trovato un senso alla tua vita… perché forse, in realtà le hai semplicemente donato un po’ d’amore…. e l’amore entra nel cuore solo quando si è disposti a spalancare davvero le braccia alla Vita, dall’inizio alla fine, così com’è, perché un viaggio meraviglioso da assaporare pienamente in ogni istante. E’ questa la missione che ad oggi sento mia come volontaria del MpV… ed è la missione più bella di questo mondo, perché non c’è gioia più grande di chi, quando meno te lo aspetti, ti ringrazia di un tuo abbraccio, di qualche tua parola o semplice di un sorriso complice e ti dice semplicemente “Grazie, perché la mia vita, e non solo, è nata o rinata”.

Daniela Sensini
 
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