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Allarme Maternità: il diritto dimenticato.

L'Organizzazione Mondiale del Lavoro lancia un appello per tutelare le mamme lavoratrici: sette donne su dieci nel mondo sono senza diritti.

Sarebbe stato bello, ieri, ascoltare qualche commento su Maternity and paternity at word: Law and practice across the world, ma il report dell’Ilo – acronimo che sta per International Labour Organization – evidentemente non interessa a nessuno o comunque a pochi. Ed è un peccato perché nelle quasi 200 pagine di quel documento, fra le altre cose, si legge un dato drammatico: il 71,6% delle donne nel mondo non è tutelato in caso di maternità. E del nostro Paese, nel rapporto, a pagina 74 si parla con riferimento al fenomeno delle lettere di dimissioni in bianco sottoposte alle lavoratrici già al momento dell’assunzione, in modo che queste possano essere licenziate nell’eventualità di una gravidanza.

Sarebbe stato pertanto bello, ieri, ascoltare l’indignazione di qualche femminista, di una giornalista o intellettuale impegnata su questa orrenda discriminazione a danno delle donne. Ma nessuno ha fiatato. E allora ti viene davvero il dubbio che parlare dei diritti della donna, per molti, sia solo un modo per far finta di occuparsi di un problema. Un modo per sembrare gente che vuole l’uguaglianza fra uomini e donne e ovviamente fra tutte le donne, salvo quelle che osano rimanere incinte. Per quelle, se vogliono, c’è la possibilità di abortire gratuitamente, altrimenti picche: non un aiuto concreto, ma solo solitudine e, se per caso hanno un lavoro, il licenziamento. E pure l’umiliazione,dulcis in fundo, di sentir dire che il vero problema sono le quote rosa, le preferenze di genere o il congedo di paternità.

Giuliano Guzzo 
Leggi di più sul blog: giulianoguzzo.wordpress.com

L'aborto? Una violazione della Convenzione Europea

L'articolo “Abortion and the European Convention on Human Rights” recentemente comparso sull'Irish Journal of Legal Studies non lascia dubbi. 


Grégor Puppinck, PhD, direttore del ECLJ e responsabile della iniziativa dei cittadini europei "Uno di noi" ha condotto lo studio pubblicato dalla prestigiosa rivista di Diritto disponibile on line (segui il link ). Lo scopo dello studio è mostrare l'inquadramento giuridico dell'aborto alla luce della Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo (qui il testo italiano). Lo studio fa seguito a una serie di pronunciamenti della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo.

Lo studio dimostra che la Convenzione Europea non esclude affatto la vita prenatale dal suo raggio di applicazione e ovviamente non contiene, ne tanto meno istituisce, nessun "diritto all'aborto".  Sebbene molti Paesi UE ammettano l'aborto come deroga alla protezione della vita umana del bambino non ancora nato essi restano tuttavia soggetti alla Convenzione. La possibilità dell'aborto "a richiesta" è dunque una pratica che viola le norme europee.

La prova dei fatti ci mostra che tanto nella lettura della Convenzione tanto nella giurisdizione della Corte di Strasburgo, gli argomenti giuridici a sostegno della consuetudine di effettuare un aborto su semplice richiesta della donna sono molto deboli se non addirittura inesistenti. Al contrario lo studio mostra come il ricorso massiccio all'aborto sia il risultato del fallimento sistematico dei Paesi nel rispettare i loro obblighi per quanto riguarda i diritti economico-sociali.

Per approfondire la notizia visita il sito dell'iniziativa europea Uno di Noi: www.oneofus.eu

(Giovani Prolife)

Diritti delle donne: premio Sakharov a Malala, minacciata di morte dai talebani.



"Attivista coraggiosa per l'istruzione ci ricorda il nostro dovere verso i bambini, in particolare verso le bambine, Malala è una ragazza eroica e il premio Sakharov è stato deciso all'unanimità", ha detto il presidente dell'Europarlamento Martin Schulz. Il Premio Sakharov 2013 per la libertà di pensiero del Parlamento europeo è stato, così, assegnato a Malala Yousafzai  la ragazzina pachistana ferita gravemente un anno fa dai Talebani in un attentato e le sarà consegnato nella sessione plenaria del Parlamento che si terrà a Novembre.
"Malala - ha commentato il capogruppo del Ppe al Parlamento europeo Joseph Daul - impersona la lotta per l'istruzione delle ragazze in aree in cui il rispetto per le donne e per i loro diritti fondamentali è completamente ignorato. E' un'icona del coraggio per tutte le adolescenti che osano perseguire le loro aspirazioni e che, come una candela, illumina il percorso fuori dall'oscurità"." E' assurdo - ha fatto eco il capogruppo dell'Alleanza dei socialisti e democratici all'Europarlamento, Hannes Swoboda - che oggi donne e ragazze debbano ancora lottare per l'eguaglianza e l'istruzione. Il premio Sakharov simboleggia l'apprezzamento dei suoi sforzi e dovrebbe ricordare a tutti noi che l'eguaglianza ed il diritto all'istruzione non possono essere dati per scontati".

Malala viene resa nota dalla cronaca nell’Ottobre 2012, quando a soli 15 anni viene ferita da un talebano al collo e alla testa, nel bus che la riportava a casa da scuola. E non si è trattato di un incidente o di un azione di bullismo pensata e realizzata nello stesso momento. Il miliziano che la ha colpita ha fermato il bus e chiesto chi fosse proprio lei, Malala. Nessuno ha risposto ma gli sguardi hanno tradito l’identità della ragazza. Malala dava fastidio perché da anni, raccontava come una fatwa impedisse alle bambine e alle ragazze di studiare. Insieme a lei furono ferite due compagne di Malala, ma le condizioni di quest’ultima si mostrarono più serie: fu trasferita nell'ospedale di Peshawar, capoluogo della provincia di Khyber Pakhtunkhwa, con un elicottero inviato dal premier Raja Pervez Ashraf, ma qui l'equipe medica consigliò di trasferirla in un ospedale all'estero ''per salvarla''. Venne scelto l'ospedale Queen Elizabeth di Birmingham, in Gran Bretagna, dove ha subito una delicata ricostruzione del cranio e dal quale venne dimessa solo l'8 febbraio scorso. A marzo è potuta tornare a scuola, la Edgbaston High School di Birmingham.

Una persona comune avrebbe “imparato la lezione” e avrebbe pensato a tenere cara la propria vita. Ma l’eroicità sta proprio al di fuori delle scelte banali ed egoistiche che uno potrebbe fare. Per questo, Malala ha continuato ed anzi potenziato la sua sensibilizzazione e impegno nei confronti dell’istruzione femminile. Ha scritto le sue memorie per testimoniare la sua vicenda e per essere un coraggioso esempio per tante ragazze che vivono le stesse condizioni in cui ha vissuto lei. Naturalmente, come è logico pensare, i talebani non l’avranno presa bene. La reazione del movimento dei talebani pakistani, il Tehreek-e-Taliban Pakistan è stata dura : “Malala – ha detto all'Afp il portavoce del gruppo, Shahidullah Shahid - non ha fatto nulla per meritare il premio che le hanno assegnato i nemici dell'Islam perché ha abbandonato la religione musulmana ed è diventata laica e proveremo di nuovo ad ucciderla”.

Ma come si riporta spesso in questo blog, la forza delle donne va spesso oltre le minacce e le paure. E con essa la volontà di fare del bene al prossimo. In questo, Malala è un grande esempio per la nostra realtà: come donna e come “volontaria” al servizio di una grande causa.

Giovanna Sedda

Il razzismo prenatale

Nascituri immigrati e con la pelle scura corrono un rischio maggiore di non vedere la luce: Come se lo straniero fosse da rispettare una volta partorito, e fino a un momento prima valesse nulla. 

Sono giorni, almeno in Italia, nei quali, dopo inaccettabili offese vibrate contro alte figure istituzionali, è riemerso il bisogno di condannare il razzismo. Quale occasione migliore allora di questa ritrovata attenzione sul tema dell’eguaglianza per tornare a denunciare le manifestazioni del fenomeno – tipico della cultura atea e antitetico, insegna l’indimenticato storico ebreo Poliakov (1910 – 1997), «alla tradizione giudaico-cristiana» [1] – della discriminazione razziale. Di queste, la forma senz’altro più odiosa e violenta – più odiosa perché tragicamente sottovalutata o perfino giustificata, e più violenta perché agita contro esseri umani inermi – oggi è indubbiamente quella del razzismo neonatale, praticato nella modalità dell’aborto volontario.

Aborto che, negli Stati Uniti, si è rivelato il più formidabile metodo di eliminazione di soggetti di colore. Infatti, se già era noto che oltre il 36% delle donne che abortiscono sono nere [2] – benché solo il 12,9% della popolazione sia nera o afroamericana [3] – da rilevazioni più recenti sappiamo che fra il 2007 ed il 2009 il tasso di aborti procurati fra queste donne è purtroppo aumentato del 4%, passando da 481 a 501 aborti ogni 1000 nati vivi. Tutto questo, peraltro, in un contesto di diminuzione del fenomeno del 3% fra le donne bianche, che ha fatto segnare un passaggio da 143 a 138 aborti ogni 1.000 nati [4]. Sono dati oggettivamente allarmanti, che vanno nella direzione di una vera e propria decimazione della gente di colore.


Pur riconoscendo il fenomeno, si potrebbe ribattere che esso deriva da cause esterne – per esempio di carattere materiale, come la povertà delle gestanti – e non corrisponde ad un progetto di eliminazione razziale. D’accordo, ma questo nulla toglie alla gravità di quanto accade, anzi, semmai la accresce dato che, in assenza di pianificazioni, la sensazione è che il problema non sussista quando invece è tragicamente reale nella veste di un razzismo invisibile ma continuo, che non abbisogna di rivendicazioni perché può già contare sull’indifferenza: ai bimbi di colore, nonostante la Presidenza di Barack Obama – il quale ha fatto della sponsorizzazione dell’aborto, da subito [5], una priorità programmatica -, è così reso sempre più difficile venire al mondo e molti non vi fanno caso.

Un aspetto sorprendente, anche perché non si sta parlando di una realtà isolata o solo statunitense: nella civile Gran Bretagna, dove la popolazione di colore è del 3,3% [6], le donne non bianche che abortiscono costituiscono il 9% del totale [7] e anche in Italia è ragionevole aspettarsi che accada lo stesso dal momento che, negli anni, le donne straniere ricorse all’aborto volontario sono aumentate in modo vertiginoso (furono 10.131 nel 1996, sono state 38.309 nel 2009) e che – recita la relazione ministeriale – «nonostante la diminuzione negli anni» del fenomeno abortivo le donne immigrate fanno ancora registrare «livelli di abortività molto più elevati delle italiane» [8]. Anche qui, dunque, un bambino straniero ha molte meno probabilità di nascere.

Beninteso: l’aborto procurato, in quanto tale, rappresenta già un atto di somma ingiustizia e sarebbe inconcepibile redigerne graduatorie di gravità. Ciò detto, è innegabile come nascituri immigrati e con la pelle scura – al pari di quelli affetti da trisomia 21, dalla sindrome di Turner e talvolta quelli di sesso femminile - corrano, rispetto ad altri, un rischio decisamente maggiore di non vedere la luce. Eppure parecchi sembrano non accorgersene e spesso, guarda caso, trattasi degli stessi favorevoli allo ius soli, pronti cioè a riconoscere la cittadinanza italiana ai migranti per il solo fatto di essere nati qui. Peccato che a questa sollecitudine per riconoscere l’immigrato come cittadino non ne corrisponda altrettanta, prima dei nove mesi di vita, per riconoscerlo essere umano.

Non sarà razzismo fiero e consapevole, ma è pur sempre un atteggiamento di colpevole miopia, che non vede, o si rifiuta di vedere, come la prima discriminazione – prima in ordine cronologico e per gravità morale – che subiscono anche in Italia coloro che italiani non sono consiste nella più alta probabilità di non nascere, di essere eliminati nel ventre materno. E meraviglia che i tanti paladini del rispetto, amanti dell’igiene lessicale e pronti a stracciarsi le vesti per offese verbali, sorvolino su questa tragedia che i dati rilevano in modo infinitamente più evidente di altre discriminazioni, vere e presunte. Come se lo straniero fosse da rispettare una volta partorito, e fino a un momento prima valesse nulla; come se le pari opportunità fossero un’emergenza per il diritto al lavoro, ma non per il diritto alla vita; come se non fossero i bambini non nati, coloro che non possono difendersi, i più poveri fra i poveri.


Note: [1] Poliakov P. Il mito ariano, Editori Riuniti 1999, p. 371; [2] Cfr. Pazol K. –Gamble S.B. – Parker W.Y. – Cook. D.A. – Zane S. B. – Hamdan S. (2009)Abortion Surveillance. United States, 2006. «National Center for Chronic Disease Prevention and Health Promotion»; 58(SS08);1-35; [3] Cfr. State & County QuickFacts, «U.S.Census Bureau»:quickfacts.census.gov/qfd/states/00000.html; [4] Cfr. Pazol K. – Creanga A.A. – Zane S.B. – Burley K.D. – Jamieson D.J. (2012) Abortion Surveillance. United States, 2009. «National Center for Chronic Disease Prevention and Health Promotion»;61(SS08);1-44; [5] Cfr. Obama sblocca i fondi per aborto e staminali, 24/1/2009: salute.aduc.it; [6] Cfr. Ethnicity and National Identity in England and Wales 2011. «Office for National Statistics», 2/2/2013; [7] Cfr. AA.VV. (2012) Abortion Statistics, England and Wales: 2011. «Department of Health»; 1-44:16; [8] AA.VV. Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza, 8/10/2012; 1-42:3.


Giuliano Guzzo

Fonte: http://giulianoguzzo.wordpress.com
 
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